L'analisi

Un messaggio da Parigi

24 aprile 2017
|

Trionfa la start-up della politica; avanza – ma meno del previsto – l’estrema destra; vengono spazzati via i partiti tradizionali che hanno governato il Paese, la destra repubblicana e la sinistra socialista. Non era mai successo nella storia della Repubblica.
A contendersi la poltrona all’Eliseo nel ballottaggio del prossimo 7 maggio, saranno dunque Emmanuel Macron arrivato in testa al primo turno, giovane e ambizioso tecnocrate che rivendica il superamento delle tradizionali contrapposizioni politiche; e la leader del Fronte Nazionale Marine Le Pen. Entrambi autoproclamatisi candidati anti-sistema. Entrambi tuttavia espressione di quella stessa casta politica sempre più osteggiata dalla popolazione: Macron per anni consigliere di François Hollande e in seguito suo ministro dell’Economia; Marine Le Pen appartenente alla ricca dinastia che ha fatto e continuerà a fare la storia della destra più radicale, invischiata – nel più classico stile della vecchia politica – in una vicenda di frode.

La fine dell’alternanza destra-sinistra fa del 23 aprile una data cardine nella vita politica del Paese, ma il terremoto al quale abbiamo assistito non è necessariamente di una magnitudo devastante. Il ballottaggio, stando ai sondaggi, dovrebbe in effetti consacrare, in modo netto, il successo dell’ex ministro di Hollande.

Le consegne di voto non si sono fatte attendere: con l’eccezione di un imbronciato Jean-Luc Mélenchon, capofila della sinistra radicale in spettacolare crescita e che ha sfiorato il colpaccio, tutti i principali leader politici non hanno posto tempo di mezzo dando una chiara consegna per il 7 maggio: votare Macron per bloccare l’estremismo frontista.
Tra i primi ad esprimersi François Fillon, giunto terzo, e le cui vicende giudiziarie hanno compromesso una vittoria che pareva certa: ha messo in guardia i francesi contro l’estremismo, le derive intolleranti e violente del partito di Marine Le Pen. Il Fronte Nazionale porterebbe la Francia alla catastrofe, ha ammonito Alain Juppé, mentre secondo Benoît Hamon, candidato di un partito socialista ormai ridotto al lumicino, con Marine Le Pen il Paese rischierebbe la guerra civile.

Ma se l’unità del fronte repubblicano sotto la bandiera del “tutto, salvo Le Pen” non ha tardato a manifestarsi, questa tornata elettorale suggella di fatto alcune profonde spaccature ideologiche e sociali. Una lettura a caldo dei risultati ottenuti dalle diverse formazioni consente in effetti di individuare faglie trasversali ai partiti su temi quali la globalizzazione, il libero mercato, il ruolo dello Stato, le pensioni, l’immigrazione, il protezionismo. Trasversali a tal punto che appaiono similitudini tra i programmi dei fronti più estremi, a destra e a sinistra.

L’Europa in particolare esce certamente rafforzata dalla vittoria di Macron, ma gli europeisti non possono sicuramente pasteggiare a champagne. Gli elettori della seconda potenza continentale hanno manifestato, con un voto estremamente frammentato (quattro candidati che hanno ottenuto ognuno percentuali attorno al 20%) una forte inquietudine sul futuro del Paese e dell’Ue: antieuropeisti (Le Pen e Mélenchon) e proeuropeisti (Macron e Fillon) si sono divisi in parti quasi eguali i consensi dell’elettorato.

A Bruxelles e Berlino si può certamente tirare un sospiro di sollievo, ma sarebbe irresponsabile non sentire il campanello d’allarme suonato da una Francia inquieta e disorientata che in giugno sarà impegnata, con le legislative, nel proibitivo compito di fornire una maggioranza politica al nuovo inquilino dell’Eliseo.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔