Commento

Un accordo saggio

23 novembre 2017
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Quindici anni e già il tempo, molto, la dice lunga sulla “sensibilità” e la delicatezza del tema, in un mondo secolarizzato e orgoglioso dei propri valori figli dell’Illuminismo. Battaglie epiche, anche in Canton Ticino, hanno visto in campo favorevoli e contrari all’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, dello Stato. Con forti ragioni e solidi argomenti, di qua e di là, che partivano da una differente visione del mondo. Perché una visione c’era, eccome, con valori solidi e tanta sapienza, ma anche sofferenza, alle spalle.

Nella società liquida, per dirla con Bauman, quel mondo è finito. Completamente chiuso. Lo si voglia o no, la società odierna non solo è refrattaria al “pensiero forte” ma altresì distratta dai colori e i suoni di pseudovalori “usa e getta”, tanto buoni per il “life style” quanto inutili per dare un senso al percorso esistenziale. Siamo nel tempo delle passioni tristi, si sostiene. E da qui si parte, con molto realismo, col compromesso raggiunto fra Stato del Canton Ticino e Chiese, la cattolica e la riformata, sull’insegnamento della religione a scuola che introduce – è una prima – un’ora obbligatoria di storia delle religioni, ma solo per le quarte medie. Un equilibrato e ragionevole compromesso figlio, appunto, del pragmatismo. Che davvero non guasta, dopo anni di “sbornia ideologica” su argomenti sempre più distanti e lontani dal sentire comune.

Il paradosso, se così si può dire, è che oggi più di ieri – che viviamo senza riferimenti ideologici – c’è bisogno di strumenti e conoscenza, come di comunità, perché la fame di spiritualità deborda da ogni dove: nei libri come nelle rappresentazioni fantasiose, nelle difficoltà soggettive come nelle “tribù” sorte sull’enfasi e il fascino dei singoli guru. Un bisogno vero, non per forza di tipo religioso, che impone risposte altrimenti inevase e l’accordo raggiunto cerca di rispondere appunto, seppur con timidezza – in punta di piedi – ma perché questo e non altro è oggi possibile fare.

Ma non è poco. Intanto già l’intesa, assolutamente non scontata, è un segnale di buona volontà soprattutto da parte della Diocesi luganese che ha saputo, negli ultimi mesi, tessere una tela in altri tempi assai aggrovigliata di nodi legnosi. Certo, molto è cambiato anche oltre Tevere e quel vento si è unito all’aria del nord, che spira da sempre sulle spalle del Ticino, ma i tempi della Chiesa, anche locale, non sono certo quelli della società liquida. E poi salire sui monti ticinesi è da sempre più complicato che scollinare a Roma… L’intesa, dunque, è il vero risultato positivo. Perché pone un punto fermo: da oggi su questo tema si collabora. Poi magari resterà l’insoddisfazione di non aver visto realizzato un progetto completamente così come si voleva o al contrario di aver ceduto qualcosa che non promette nulla di buono perché apre un varco. Il furore ideologico del resto non conosce mediazione di sorta. Il buon senso, là dove il mare è grande e i naufraghi parecchi, la conosce eccome. Anzi, usa la mediazione come soluzione possibile per conciliazione e bene comune. Non capire il gesto e il momento storico potrebbe essere fatale. Per tutti.

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