Commento

Tutti imprenditori di sé stessi

16 settembre 2017
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‘Crowd work’, ‘Gig economy’ e ‘Sharing economy’. Sono tutte espressioni che stanno entrando con forza nel linguaggio comune e indicano i nuovi modelli di lavoro e di organizzazione aziendale che stanno emergendo negli ultimi anni e che come dimostra un recente studio del sindacato Syndicom non risparmia nemmeno la Svizzera.

Sono un milione le persone che integrano il proprio reddito attraverso una piattaforma digitale (crowd work), ovvero attraverso un impiego atipico molto temporaneo e trovato grazie a un’applicazione elettronica. Gli autisti di Uber sono il caso più emblematico. Si va dall’impiego come giardiniere per mezza giornata destinato allo studente bisognoso di un centinaio di franchi, all’ingaggio per qualche mese, magari per un progetto informatico internazionale, che fa gola al neo ingegnere desideroso di mettersi alla prova. In tutti i casi si tratta di un’accelerazione – e con l’arrivo sul mercato del lavoro delle nuove generazioni sarà sempre più evidente – di quel processo di disintermediazione in atto da qualche anno grazie alla digitalizzazione dell’economia e che mira a rendere ogni lavoratore imprenditore di se stesso o qualcosa di simile, accollandogli di fatto il rischio d’impresa e facendo evaporare qualsiasi tutela sociale e contributiva.

Con le piattaforme di ‘crowd work’, infatti, si disintermediano i rapporti, lo spazio e i tempi di lavoro. In poche parole si tenderà a superare l’attuale organizzazione d’impresa (ancora per certi versi di stampo ‘fordista’) e il dualismo tra lavoro precario e stabile eliminando quest’ultimo. Le parole del Ceo di Crowdflower.com, Lukas Biewald, sono eloquenti: “Prima dell’avvento di internet, sarebbe stato praticamente impossibile trovare qualcuno disponibile a lavorare per te dieci minuti per essere poi subito licenziato. Ma grazie a queste tecnologie ora si può effettivamente trovare qualcuno, corrispondergli un compenso irrisorio per poi sbarazzarsene non appena non se ne ha più bisogno”. Da notare che Crowdflower, basata a San Francisco, in California opera nel campo dell’intelligenza artificiale. Non stiamo parlando di reclutatori di manodopera poco qualificata destinata a pulire i vetri di una delle fantasmagoriche sedi di multinazionali della Silicon Valley.

Sempre più figure professionali in futuro si troveranno in un limbo tra lavoro autonomo e subordinato con effetti non indifferenti anche sui sistemi di finanziamento dello stato sociale. Un autista di Uber, per esempio, è un vero freelance oppure dipende da un algoritmo che gli dice quante corse fare, come deve comportarsi con un cliente e quale tragitto fare per essere più redditizio? In che modo deve contribuire al suo futuro pensionistico? Per non parlare delle coperture assicurative in caso di incidente.

Gli interrogativi su questa tipologia di occupazione sono tanti e la legislazione, non solo in Svizzera, dovrà essere adeguata alle mutate condizioni sociali e all’evoluzione tecnologica. Ma un dubbio rimane: non è che la digitalizzazione è solo un modo molto sofisticato per ridurre il costo del lavoro, abbassare i redditi ed eliminare le tutele sociali?

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