Luganese

Trasmissioni piratate, l'esperto Trivilini: 'Sì alla prevenzione, no ai bavagli'

(Tatiana Scolari)
28 dicembre 2017
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«Questi casi non devono impattare sul principio nobile di internet, che è nato per essere aperto». Il monito del professor Alessandro Trivilini è chiaro, e allo stesso tempo è anche una preoccupazione: «Mettere dei bavagli, chiudendo dei servizi, potrebbe diventare un’arma a doppio taglio». La vicenda emersa ieri (cfr. correlato) pone degli interrogativi non solo sulla questione dei diritti d’autore, ma in generale sull’utilizzo del web. Ne abbiamo parlato con il responsabile del Dipartimento tecnologie innovative della Supsi. «No, non capita spesso di leggere di questi casi, ma ciò non significa che il fenomeno non esista. Il fatto che siano stati scoperti e denunciati, fa capire da una parte quanto la digitalizzazione stia avanzando. La rete è diventata un concentrato incredibile di contenuti». Partendo da questa base, le constatazioni da fare per l’esperto sono principalmente tre: «In primo luogo, riemerge il fatto che nell’immaginario collettivo sul web tutto è gratis». In situazioni come questa quindi, chi desidera compiere una truffa gioca sulla preparazione delle persone in rapporto a questi strumenti. «Un secondo elemento è pertanto che gli utenti non sono sufficientemente alfabetizzati all’uso di queste tecnologie». Infine, una particolarità tutta elvetica: «In Svizzera l’utilizzo a uso personale – nella stretta cerchia famigliare – di contenuti soggetti a diritto d’autore è consentito. In altri Paesi, come l’Italia, le casistiche sono maggiori rispetto a qui. Noi paghiamo un prezzo un po’ più alto però: chi ne abusa assume una responsabilità anche più elevata». Secondo il professore, «l’unico strumento che abbiamo per fronteggiare questo tipo di fenomeni è l’alfabetizzazione: spiegare alle persone le regole. Ed è importante farlo soprattutto in Svizzera, dove godiamo di una libertà maggiore che in altri Paesi in materia di diritti d’autore».

Dopo Napster, il fenomeno è rimasto Il problema sta anche nel manico. «La questione della percezione è dovuta alla natura stessa di internet: il web è nato così, libero. Stiamo combattendo per mantenerlo tale perché è una grandissima opportunità. Il pericolo è che – in una situazione di libertà sfruttata male – si passi da un estremo all’altro, togliendoci le opportunità di scambio e condivisione di cui godiamo». Trivilini ricorda il caso Napster a inizio anni 2000: «Chiudendo la piattaforma di condivisione musicale, il fenomeno non è scomparso ma si è evoluto in centinaia di migliaia di altri sistemi. Oggi non solo non è stato risolto, ma lo scenario si è complicato a causa della crittografia, della trasmissione veloce di dati». E se la mancanza di consapevolezza degli utenti è l’anello debole su cui la cyber criminalità prospera, è pure vero che per un giudice non sempre è facile giudicare con oggettività: «Uno dei crismi dell’informatica forense è che un dato non è una prova, bisogna essere in grado di dimostrare che un contenuto è stato consumato».

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