Commento

Ssr, più canone ma per farne cosa?

17 marzo 2015
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Doris Leuthard ha dato il la alla campagna in vista del voto del 14 giugno sulla revisione della Legge federale sulla radiotelevisione. Revisione che, come noto, mira ad estendere, generalizzandolo, il pagamento del canone a tutti. Dagli attuali 2,6 milioni di contribuenti si passerà a 3,3 e – ecco la simpatica trovata – si abbasserà la tassa del 15%, dagli attuali 462 franchi a 400. Insomma, se pagano tutti (con alcune eccezioni), anche perché con le nuove tecnologie tutti possono oggi consumare agilmente l’offerta della Ssr, si pagherà di fatto un pochino meno. Nell’esprimersi ieri pubblicamente in merito, la consigliera federale ha fra l’altro tenuto a precisare che la posta in gioco in vista della votazione non sarà il contenuto del servizio pubblico. Formalmente è vero, ma dissentiamo. Già il fatto di dirlo svela il timore per il pericolo, che già si è in parte concretizzato, che con la votazione si manifestino anche alcune critiche sul servizio pubblico offerto dalla Ssr. Ma è normale che sia così. Quel canone lo si deve obbligatoriamente pagare, con o senza estensione, ritenuta l’importanza di avere un ente radiotelevisivo che fornisca un’informazione indipendente e di buon livello in tutta la Svizzera. Lo sforzo che la Ssr fa quotidianamente è sotto gli occhi di tutti, come particolarmente evidente è il fatto che qui a Sud delle Alpi possiamo – anche se non ce ne rendiamo sempre conto – considerarci dei privilegiati. Se non ci fossero i nostri confratelli confederati a pagare il canone, la Tsi potremmo semplicemente sognarcela. Ma, ecco la domanda, l’offerta attuale rientra davvero tutta – sottolineiamo tutta – nei compiti del servizio pubblico? Cioè in quello che è giusto confezionare, obbligando i cittadini a pagare il canone? A sentirli loro i radiotelevisivi la risposta è affermativa. Ma in questi anni anche il mondo fuori, quello dei mass media privati, è parecchio cambiato con la nascita dei gruppi editoriali, lo sviluppo delle nuove tecnologie e le concentrazioni, in alcuni casi anche di portata nazionale. Non per caso alcune briciole del canone sono arrivate anche a talune radio e tv private, segno che è riconosciuto loro un certo ruolo d’interesse pubblico. Mossa politica per far digerire, perlomeno ancora temporaneamente, il monopolio parapubblico? Altro tema: sarà che chi scrive sta invecchiando, ma mentre apprezza il buon livello delle trasmissioni che si occupano di informazione e in particolare di approfondimento con giornalisti che non sono solo passacarte, ho sempre più l’impressione che certi segmenti di intrattenimento, in particolare sulla rete radiofonica ammiraglia (la Rete 1), non siano appropriati per un servizio pubblico. Tant’è che, terminato l’interesse per l’informazione, piuttosto che dovermi sorbire il crescente cicaleggio con battutelle, o trasmissioni tappabuchi, o vetture che passano a prenderti, che non ti danno nulla, ma proprio nulla, giro canale o spengo. Insomma, è pur vero che la votazione non chiede di esprimere una valutazione sul concetto di servizio pubblico, ma è pur sempre un’ottima occasione per discuterne anche pubblicamente e per valutare poi, a conti fatti nell’urna, il tasso di gradimento dell’informazione parapubblica.

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