Mendrisiotto

Sceglie il 'paese della cuccagna', 36enne ticinese condannato a 22 mesi sospesi

(Gabriele Putzu)
18 settembre 2017
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Ospitalità in cambio di droga. Un «paese della cuccagna» che ha portato a un 36enne ticinese una condanna a 22 mesi per infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti. Pena che il giudice Amos Pagnamenta ha sospeso per un periodo di prova di tre anni. Il caso esaminato oggi dalla Corte delle Assise correzionali di Mendrisio ha fatto emergere «una nuova tendenza delle operazioni di spaccio – ha spiegato il Procuratore pubblico Arturo Garzoni proponendo una condanna a due anni sospesi –. Vale a dire farsi ospitare dal tossico di turno, creando quindi una base logistica, in cambio di stupefacenti gratis o a prezzo di favore». È quanto successo all’imputato, che nei 36 giorni che ha trascorso in carcere ha iniziato un percorso di disintossicazione. All’uomo è stato chiesto di ospitare nella sua abitazione un ragazzo albanese (che sarà processato domani dalla Corte delle Assise criminali di Mendrisio). «Mi è stato detto che non avrei più avuto problemi nell’avere droga – ha spiegato il 36enne –. Dalla paura di non avere la dose mi sono ritrovato nel paese della cuccagna e ho ceduto: in quel momento si è deboli». Dall’appartamento sono transitati almeno 1,5 chili di eroina e 300 grammi di cocaina. «Non sapevo la quantità: mi interessava solo il quantitativo che mi avrebbero dato», ha aggiunto. In alcune occasioni, nel corso di un anno, l’imputato ha consegnato personalmente della droga ad alcuni suoi conoscenti. «Mi facevo pagare in droga: i soldi li consegnavo», ha aggiunto. Nei loro interventi, le parti hanno evidenziato la prognosi non negativa e la collaborazione fornita dall’uomo durante l’inchiesta. A quest’ultima, ha fatto presente Garzoni, va aggiunto «il coraggio di chiamare in causa l’albanese e sostenere un confronto diretto». Evidenziando che il suo cliente «è una vittima della dipendenza che ha capito di essere caduta in un buco e si è rialzata», l’avvocato Chiara Buzzi si è battuta per una riduzione della pena proposta dall’accusa evidenziando come al 36enne «interessava solo la sua dose quotidiana». Nella commisurazione della pena la Corte ha tenuto conto della collaborazione fornita ritenendo pacifico che l’organizzazione non avrebbe avuto difficoltà a trovare un’altra base logistica e della scemata responsabilità dovuta al consumo di sostanze.

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