Commento

Sant'Anna e silenzi imbarazzanti

La clinica Sant'Anna
19 aprile 2017
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Quasi tre anni fa la signora Maddalena, 67enne, entrava in una sala operatoria alla clinica Sant’Anna di Lugano per togliere un tumore dietro il capezzolo, risvegliandosi senza entrambi i seni. «È stato uno shock, il medico disse che il tumore era più radicato e aveva dovuto toglierli entrambi», ci raccontò la vittima. Dopo quattro mesi di menzogne e dopo la segnalazione della donna alle autorità sanitarie, il chirurgo (il dottor Piercarlo Rey) ammise finalmente che in sala operatoria c’era stato un errore e aveva operato la paziente sbagliata.

Quando, due anni fa, abbiamo raccontato questo grave errore, la signora Maddalena (non è il suo nome vero ma è noto alla redazione) ci aveva confidato che a farle più male erano state le menzogne del medico, dei sanitari, della direzione della clinica. Ci disse: “Avrei potuto accettare un errore, tutti possono sbagliare, ma non le menzogne: molti sapevano, ma nessuno mi disse la verità. Mi sono sentita impotente e raggirata”. Questo disagio spinse la donna a confidare al nostro giornale la sua storia di malasanità per evitare – ci disse – il medesimo calvario ad altri.

Sono passati quasi tre anni, proviamo a tirare le somme: la denuncia della signora Maddalena è servita? Altri pazienti, vittima di gravi errori, potrebbero trovarsi intrappolati in un simile clima di omertosi silenzi?

Noi pensiamo di sì, pur sperando di sbagliare. E vi spieghiamo perché.

Qualche settimana fa la Procura ha deciso un decreto di accusa per il dottor Rey per lesioni colpose gravi e falsità in documenti. Le lesioni colpose gravi sono un reato perseguibile d’ufficio. Significa che chi sapeva (erano alcuni in clinica) doveva segnalare il caso alla Procura. Ciò non è stato fatto. Ci auguriamo che qualcuno abbia rimproverato alla struttura questa mancanza. Altrimenti potrebbe planare il dubbio che ciascuno può fare come vuole.

Il legale della vittima, l’avvocato Mario Branda, aveva subito messo il dito nella piaga. Nel 2014, disse in un’intervista alla ‘Regione’: «La clinica non ha denunciato il reato e questo è grave». L’articolo 68 della legge sanitaria recita che «chiunque esercita una professione sanitaria (...) ha l’obbligo di informare il Ministero pubblico di ogni caso di malattia, di lesione o di morte per causa certa o sospetta di reato venuto a conoscenza nell’esercizio della professione». Le lesioni gravi sono un reato e il caso andava segnalato.

A tre anni di distanza sappiamo che la clinica non l’ha fatto. Ci chiediamo: come fa un paziente, se il medico mente e la clinica lo asseconda, a capire di essere vittima di un errore? Come mai una struttura sanitaria preferisce il silenzio alla trasparenza?
I motivi possono essere diversi, ma ci siamo dati qualche risposta. L’immagine è vitale per qualsiasi struttura sanitaria: segnalare un erroraccio in sala operatoria può forse allarmare (e allontanare) potenziali clienti-pazienti. C’è poi il rischio di finire con una certa regolarità sui media accostati ad un caso di malasanità. Una brutta pubblicità che fa male al business.

Malgrado ciò, in sanità, c’è comunque chi privilegia la massima trasparenza dimostrando responsabilità. E c’è chi invece opta per la via del risarcimento: se va bene, si tiene tutto in casa, pagando il paziente (e anche il suo silenzio).

Ma tutto ciò è nell’interesse pubblico di una buona sanità? A noi non sembra. Ciascuno di noi, un giorno o l’altro, potrebbe trovarsi al posto della signora Maddalena, vittima due volte. La sua denuncia, da questo punto di vista, ci sembra servita a poco.

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