Commento

Salto di livello

23 febbraio 2017
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Processi penali terminati con la condanna di terroristi al servizio del sedicente Stato Islamico ne sono già stati celebrati più di uno nel nostro Paese. Anche i più distratti ricorderanno la sede del Tribunale penale federale di Bellinzona presidiata da poliziotti delle forze speciali armati sino ai denti e posizionati sull’uscio e sul tetto dell’immobile. Quella è stata la volta che in Ticino abbiamo preso maggiormente coscienza di cosa possa significare un’allerta terrorismo, anche se si trattava pur ‘solo’ di proteggere un Tribunale e garantire la sicurezza durante la celebrazione di un processo. Ieri è successo qualcosa – se l’ipotesi accusatoria verrà confermata – che ci fa fare un salto di livello. Anziché assistere alla fase terminale di un’inchiesta, ossia alla condanna penale per fatti commessi in un altro cantone, abbiamo preso atto dell’avvio di un procedimento penale, con lo schieramento di cento poliziotti, arresti e perquisizioni per presunto reclutamento a favore dell’Isis, e anche una perquisizione in un luogo di preghiera islamico a Viganello. A tutto ciò, pure nella calda giornata di ieri, si è aggiunto un arresto in un altro ambito molto sensibile: un centro asilanti. Ma in questo caso a finire nella rete della polizia è stato un dipendente e un responsabile di un’agenzia di sicurezza ticinese, chiamata dallo Stato (!) a garantire la sicurezza del centro e a ben conoscere il Codice penale! E invece… Ma torniamo al principale filone dell’operazione antiterrorismo, che segue di sole 24 ore la retata di Winterthur con ingredienti altrettanto inquietanti (moschea fra l’altro già chiusa e riaperta da poco e diverse ipotesi di reato: minacce, aggressioni, sequestri di persona, coazioni e sermoni incendiari pronunciati da un imam che avrebbe invitato a uccidere e denunciare i musulmani non praticanti). Insomma, anche se le due inchieste non hanno relazione alcuna, rendiamoci purtroppo conto che queste sono nuove realtà pesanti che ci troviamo in casa. In ogni caso, complimenti all’intelligence cantonale che pare abbia avuto un ruolo importante nel monitoraggio preliminare di queste pericolose schegge, passando poi l’inchiesta per competenza ai federali. Nell’attesa di saperne di più, vale la pena insistere su alcuni aspetti. Primo: è centrale che i Cantoni si accorgano di quello che succede sul territorio. Ma è altresì importante che anche all’interno dei centri di preghiera vi siano persone ai vertici formate qui da noi. In questo senso la proposta che talune Università, se ben ricordiamo per esempio Friborgo, intendono portare avanti nell’offrirsi come centri per la formazione degli imam va sostenuta. È altresì importante che vi sia, in chi ha responsabilità alla testa di una comunità religiosa, la coscienza di quali sono le nostre basilari regole del vivere comune e civile, imparando cosa possa essere o meno predicato. Secondo: è importante e utile che le inchieste partano, ma è altrettanto importante che i Codici penali prevedano pene certe e adeguate. L’impressione è che nella pacifica Svizzera, a parità di reati commessi, chi gravita attorno al terrorismo se la cavi molto più a buon mercato rispetto a quanto succede in altri Paesi che ci circondano. Insomma: non vorremmo che pene meno incisive inducessero a credere che da noi il metro sia diverso. Anche la legislazione va quindi inasprita. Terzo: se chi deve garantire la sicurezza finisce in carcere quale presunto reclutatore e per di più è al beneficio di un’autorizzazione cantonale per svolgere il delicato compito in un settore pubblico, si pone in tutta evidenza ancora una volta il tema della credibilità e dei controlli da parte dello Stato! La sveglia è suonata. E trilla forte.

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