Commento

Salari deboli, finanza forte!

28 marzo 2015
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Nel bailamme che è seguito e continua a seguire alla decisione di lasciare andare il franco per conto suo, almeno tre fatti bisogna onestamente ammettere: la tempestiva e intenzionale anticipazione catastrofica delle conseguenze; la palla al balzo per procedere subito a riduzioni di costi salariali; un dogma economico in base al quale dev’essere innanzitutto il lavoro a sopportarne le conseguenze o rassegnandosi a costare meno o dando ore di lavoro gratuito, pena la disoccupazione. Qui ci si trova a un passo dal paradosso, come avviene con gli interessi negativi: presto bisognerà pagare per poter lavorare (a dire il vero è già successo e succede ancora). A questo stato di cose si possono contrapporre, con un minimo di intelligenza economica e di responsabilità collettiva, alcune incongruenze, dimostrabili.
La prima. Le sole imprese svizzere quotate in Borsa hanno inondato gli azionisti di 34 miliardi di franchi in dividendi (2014). Un aumento del 5 per cento rispetto all’anno precedente. Per il 2015 le venti maggiori capitalizzazioni della Borsa svizzera preannunciano un ulteriore aumento proprio perché sembra che l’abbandono della soglia minima per il franco rafforzi l’attrazione per i rendimenti in dividendi. Risulta che, in media, il 70 % degli utili conseguiti servono a pagare i dividendi agli azionisti, perché gli azionisti non sono mai chiamati a pagare contributi perlomeno equivalenti a quelli posti come condizione di sopravvivenza ai lavoratori (come ad esempio 26% in meno di salario), tanto più che hanno di solito possibilità di ricupero enormi?
La seconda. Una delle nozioni fondamentali, iscritta nella natura stessa delle cose è quella del ciclo economico. Si sa dai tempi di Giuseppe in Egitto (le sette vacche grasse, le sette magre) che siamo retti dai cicli naturali; si sa dai tempi di grandi studiosi dell’economia (da Kontratiev, a Schumpeter, Kitschin ecc.) che ci sono cicli economici lunghi o brevi. Si è usciti da questa logica della natura e dell’attività dell’uomo, imponendo l’idea della crescita senza fine e del cortoterminismo (conta solo la reddività dell’immediato). Se si ragionasse in termini di cicli nelle riserve da costituire nei tempi delle vacche grasse si troverebbero anche i mezzi per non martirizzare i lavoratori, punendo la stessa economia (sono i lavoratori che fanno il 60 per cento della domanda).
La terza. Il giorno dell’annuncio dell’abbandono della soglia minima per il franco la Borsa svizzera (Six Group) ha registrato 27 miliardi di franchi di transazioni. Non si è mai vista una ‘volatilità’ del genere (un milione di transazioni quando normalmente sono 150mila). Potrebbe essere un principio di prova che l’idea del prof. Sergio Rossi, dell’Uni di Friborgo, di scoraggiare la speculazione, di ridurre la pressione sul franco svizzero, prelevando una tassa sull’acquisto di franchi, è tutt’altro che peregrina. Tanto più che una percentuale delle somme così raccolte potrebbe essere destinata alle imprese in difficoltà per coprire appunto il rischio di cambio. C’è già d’altronde una legge contro i rischi all’esportazione, perché non adeguarla, oltretutto a costo zero? Certo che è più facile decurtare i salariati che toccare la finanza.

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