Commento

Riforma pensioni, una buona legge

(CHRISTOF SCHUERPF)
13 settembre 2017
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Cos’è una buona legge? Una buona legge anzitutto fa propri gli sviluppi sociali ed economici più recenti, anticipandone per quanto possibile l’evoluzione a medio termine e le sfide che ne derivano. Una buona legge, poi, offre un solido quadro normativo in un determinato ambito durante un lasso di tempo ragionevole, senza scavare buchi nelle casse pubbliche. Una buona legge, infine, garantisce in linea di massima i diritti acquisiti; e, orientandosi al bene comune, evita di identificare quest’ultimo nel bene della maggioranza, rispondendo invece ai bisogni delle fasce più sfavorite della popolazione.

La Legge federale sulla riforma della previdenza per la vecchiaia 2020 (Pv2020) in votazione il 24 settembre a noi pare una buona legge. Prima di tutto perché poggia su una lettura realistica degli sviluppi demografici, sociali ed economici che la Svizzera conoscerà da qui al 2030: tiene infatti adeguatamente conto del fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, anticipa l’imminente pensionamento della generazione del ‘baby-boom’, non esagera (com’era stato fatto alla fine degli anni 90) l’apporto dell’immigrazione alle casse dell’Avs, registra una situazione di tassi di interesse bassi non suscettibile di mutare a breve.

La Pv2020, in seguito, assicura – attraverso un’inedita combinazione di misure nel 1° (Avs) e nel 2° pilastro (previdenza professionale), ma preservando l’indipendenza dell’uno e dell’altro ed evitando pericolosi finanziamenti incrociati – una solida base normativa e finanziaria al sistema pensionistico. Lo fa per una dozzina d’anni, un lasso di tempo più che ragionevole per una riforma di tale portata, oltretutto a un costo tutto sommato contenuto per lavoratori e datori di lavoro (0,15% di contributi Avs in più ciascuno, il primo incremento da 40 anni a questa parte, e accrediti di vecchiaia nel 2° pilastro leggermente più consistenti fra i 35 e i 54 anni), i consumatori (0,3% in più di Iva dal 2021) e la Confederazione (che vedrà aumentare il contributo dovuto all’Avs, ma senza che ciò intacchi l’equilibrio delle finanze federali).

La Pv2020, in terzo luogo, salvo poche eccezioni garantisce a tutti il livello attuale delle rendite. Buona parte degli assicurati lo vedranno persino lievemente aumentare. Le persone con redditi medio-bassi, che lavorano a tempo parziale o accumulano impieghi (in buona parte donne) saranno meglio coperte nel 2° pilastro. I lavoratori rimasti senza lavoro dopo i 58 anni potranno restare affiliati alla loro cassa pensione. E chi vorrà andare in pensione prima dei 65 anni ci perderà meno rispetto a oggi, una flessibilizzazione del pensionamento (il Consiglio federale deve ancora confermarlo per la ‘generazione di transizione’, i 45-65enni) destinata a favorire soprattutto chi ha svolto lavori usuranti.

Certo, quel che si chiede alle donne non è poco. Potremmo discutere all’infinito della compensazione – insufficiente per gli uni, buona per gli altri – prevista dalla Pv2020 per l’aumento a 65 anni dell’età di pensionamento. Ma il progetto va considerato nel suo complesso: è facile focalizzarsi su un aspetto (pur cruciale come quello appena menzionato), utilizzandolo per demolire l’insieme. E poi non dimentichiamo un paio di cose: siamo di fronte al primo aumento delle rendite Avs della storia; la riforma di cui fa parte è uscita anche da un Consiglio nazionale a maggioranza di destra; e dopo un ventennio di stallo, vari fallimenti alle urne o in Parlamento, quale sarebbe l’alternativa di Plr & co.? Un piano B che è minestra riscaldata, e che ritarderebbe di parecchi anni una riforma che serve oggi.

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