L'editoriale

Quella ‘cosa’ chiamata Lega

12 aprile 2016
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La domanda ricorrente, in queste ore, nei corridoi dei partiti storici è: come la fermiamo? La Lega dei Ticinesi, naturalmente, che anche in quest’ultima tornata elettorale (dopo le Cantonali di un anno fa e le Federali dello scorso autunno) si consolida prepotentemente negli enti locali. E questa, va detto, è un’importante novità perché sino ad oggi era proprio il territorio diffuso a far difetto in via Monte Boglia dove si è sempre puntato sulle emozioni forti per un pubblico generalista, e quindi poco avvezzo al particolare locale. Ora non è più così. Ma anche la Lega 2.0 non è più quella degli anni Novanta. Anzi, è proprio un’altra cosa rispetto al movimento inventato e gestito dal padre-padrone Giuliano Bignasca. E, se questo è vero, la domanda iniziale per essere soddisfatta ne presuppone un’altra, più specifica: cos’è oggi che fa vincere questa ‘cosa’ che conosciamo come Lega? La paura del nuovo e dell’ignoto, certo. Il terrore di perdere privilegi che altri ci invidiano, naturalmente. La diffidenza propria della realtà di frontiera che ama e al contempo odia l’altro che sta di là, dall’altra parte, ça va sans dire. Il sentimento d’abbandono tutto ticinese che ha origini lontane, lo sappiamo da sempre (perché ci hanno giocato anche i partiti storici). Basta? No, a nostro avviso c’è dell’altro. C’è, ad esempio, una capacità recente – post Nano – che coniuga pragmatismo accettabile (vedi i municipali leghisti luganesi, ma anche Zali in governo) con l’orgoglio territoriale. Detta altrimenti, se in passato il voto alla Lega era sostanzialmente di protesta, da un po’ di tempo a questa parte sta diventando qualcosa di più. Non ancora di ‘governo’ (con la sola eccezione luganese), ma certo di mediazione e confronto, grazie anche al rinnovo dei candidati, decisamente più ‘presentabili’ dei precedenti. E non basta ancora. La Lega 2.0 è, a nostro giudizio, il partito che più di altri rappresenta la ‘tradizione’ corporativa, di parte appunto, ma in un’ottica globale e non mediata, dove le emozioni girano il mondo in poche ore. Vecchio e nuovo, in una sintesi magistrale (concepita da una regista fantasma…) che si esprime in alcune individualità (i cosiddetti colonnelli) oggi, guarda caso, istituzionali: i due consiglieri di Stato, il sindaco e i municipali luganesi, i consiglieri nazionali, alcuni granconsiglieri. Non era così ai tempi del Nano che tutto controllava e tutto indirizzava, con i limiti dettati da un’irruenza a volte infelice. In questa nuova Lega c’è anche lo zampino felpato e prudente dell’erede politico – nonché fratello di Giuliano – Attilio. È la sua rivincita. Come la si ferma, ammesso che oggi sia possibile farlo? In primo luogo riconoscendo che siamo di fronte all’unica vera novità politica degli ultimi quarant’anni, nel senso che come la Lega in Ticino non c’è mai stato nessuno. Poi, molto banalmente, tornando a fare politica soprattutto nel territorio, là dove – città escluse – i partiti tradizionali non hanno quasi più nessun riferimento rispettabile. Forse si cambia ripartendo dal basso, ma senza confondere contenuti e contenitori, scambiando per ‘basso’ le argomentazioni quotidiane invece che il luogo di confronto. E forse la Lega 2.0 si fermerà da sola. Quando le contraddizioni saranno più forti delle risposte banali. Quando i bisogni dei cittadini andranno oltre la vanità di appartenenza territoriale. Quando la paura non sarà solo agitata, ma motivata da un regresso effettivo. A quel punto, però, le domande saranno altre: chi al posto della Lega? Un’altra ‘cosa’ partorita dall’abbraccio Ppd-Plr? E cosa resterà della sinistra?

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