Commento

Organizzazioni non grate

12 maggio 2017
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“Come una Ong possa spendere 400mila euro al mese per i salvataggi in mare, deve essere materia di indagine”. Partiamo dalle parole di Carmelo Zuccaro, procuratore della Repubblica a Catania.

Gigantismo, protagonismo, opportunismo, carrierismo, parassitismo, opacità dei finanziamenti e vaghezza della missione: vizi e mali dell’estesissimo e differenziato mondo delle organizzazioni non governative e dei professionisti dell’umanitario non si scoprono oggi, né grazie ai politici che tentano di cavalcarli. Ma ci vuole una inverosimile dose di cinismo e di ignoranza per affermare che “le Ong”, indistintamente, sono quei mali. Non solo perché le dimensioni e la portata dell’azione delle diverse organizzazioni sono imparagonabili, ma anche perché bisogna conoscere sforzi e dedizione di migliaia e migliaia di volontari per avere almeno un’idea dell’imprescindibilità della loro presenza nelle più diverse aree di crisi, dalla guerra “coperta” dal mainstream informativo, al quartiere dove il disagio sociale ed esistenziale macina le esistenze.

È anche chiaro che ve ne sono di quelle che per longevità, notorietà e forza hanno acquisito uno status quasi istituzionale, ed è quindi legittimo chiedere loro conto dei finanziamenti di cui dispongono e degli obiettivi che perseguono: quelle Ong dai bilanci milionari, che possono mettere in mare una flotta, o impiantare centri di cura nei luoghi più disagiati, i cui dirigenti vengono ascoltati come capi di governo, o i cui rapporti annuali vengono compulsati come tanti “State of the Union”. Piccoli Stati che portano la propria sovranità là dove una missione chiama. Una sorta di privatizzazione della “cosa pubblica” – su base volontaria e, fino a prova contraria, non a scopo di profitto – che di fatto sopperisce alle lacune della cosa pubblica. Un ruolo e una consapevolezza che talora sono solo il preludio a fortunate carriere politiche. Tutt’altro, in ogni caso, rispetto alle piccole associazioni che vivono di autotassazione e fatica quotidiana.

E tuttavia, vedere accusate di complicità con i “trafficanti di uomini” le Ong che soccorrono in mare i migranti non mette solo a disagio chi abbia appena un’idea del dramma che si consuma da anni nel Mediterraneo (oltre 181mila sbarchi in Italia nel 2016; ventimila morti dal 2000), ma impone di chiedersi a chi e a quale interesse politico rispondano quelle accuse.

In Italia, le più sollecite nel denunciare la collusione tra scafisti e Ong sono le forze che si disputano il voto di una destra che va dai rottami di Forza Italia agli arrembanti grillini, passando per i fascioleghisti e un intero apparato di propaganda. Così possiamo leggere delle Ong pagate dagli scafisti, dei soccorsi in mare prestati a chi non ne ha bisogno, della sovrafatturazione dei servizi prodotti, delle infiltrazioni mafiose nella gestione dei centri di accoglienza, dei terroristi mascherati da profughi sui barconi alla deriva. Il sospetto, l’allusione, il paradosso del pm già citato che dice di “avere le prove” ma di non poterlo… provare (malamente plagiando il Pasolini di Piazza Fontana). Tutto già visto, tutto già ascoltato, detto. Ma non per questo meno desolante.

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