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Morte del padrino, Del Ponte: 'Lo interrogai per quei soldi luganesi'

(Francesca Agosta)
18 novembre 2017
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Quella trasferta di ventitré anni fa a Palermo la ricorda bene. «Interrogai Totò Riina nel 1994 al carcere dell’Ucciardone: avevamo trovato un bidone del latte vicino a Lugano con dentro circa due milioni di dollari e il pentito che ci permise di fare quella scoperta ci aveva detto che quei soldi erano di Riina. Per confiscare il denaro dovevo quindi sentirlo ed è per questo che mi recai in Sicilia», racconta, contattata dalla ‘Regione’, Carla Del Ponte, all’epoca procuratrice pubblica a Lugano, titolare di numerose inchieste per riciclaggio di denaro sporco in Svizzera, provento anche dei narcotraffici gestiti da Cosa Nostra. Inchieste che la portarono a collaborare strettamente con Giovanni Falcone. Una cooperazione con i magistrati palermitani che continuerà quando diverrà procuratrice generale della Confederazione. Il pentito di mafia. le cui rivelazioni condussero gli inquirenti alla scoperta nel gennaio ’94 di quel particolarissimo bidone del latte, nascosto da Cosa Nostra una decina di anni prima sul Pian Scairolo, era Salvatore Cancemi. Pare che i soldi derivassero dalla vendita di una partita di eroina negli Stati Uniti. Un milione e 800mila dollari sequestrati e, su istanza del Ministero pubblico, confiscati dal Tribunale penale. Più o meno 2,6 milioni di franchi finirono così nelle casse del Cantone. Signora Del Ponte, che impressione le fece ‘il capo dei capi’? Un’impressione negativa, in assoluto. Fu scortese, maleducato, violento nell’esprimersi. Si permise di alzare la voce: secondo lui stavo buttando via il mio tempo, perché non aveva niente da dirmi. Ero arrabbiatissima, ma mi trattenni. Alla fine di quel breve interrogatorio si scusò per il comportamento che aveva tenuto. Ovviamente non ammise nulla di quanto lei gli contestava... Non ammise nulla. E non provo alcuna pietà per la sua scomparsa. Pure dal carcere era lui a comandare Cosa Nostra. L’ex pp Bernasconi: non solo il 260ter A Berna, per rafforzare la lotta al crimine organizzato, si sta lavorando alla revisione dell’articolo 260ter del Codice penale svizzero. Quello che punisce la partecipazione (e sostegno) a un’organizzazione criminale. «Sono però indispensabili misure di accompagnamento come per esempio l’istituzione presso i Ministeri pubblici dei principali cantoni, come fatto a Zurigo, di un centro specializzato per il sequestro e la confisca del provento dei reati. Questa attività giudiziaria richiede infatti una specializzazione tutta particolare», annota l’avvocato e docente universitario Paolo Bernasconi, già procuratore pubblico: la ‘Pizza connection’ fu una delle tante inchieste di cui si occupò. «Coloro poi che sono chiamati, come magistrati o agenti investigativi, a interrogare persone accusate di terrorismo o di partecipazione a organizzazioni criminali, necessitano – aggiunge l’ex pp – di un’istruzione speciale e di soggiorni presso le Polizie di altri Paesi. In Svizzera operano non solo le mafie italiane, ma anche organizzazioni altrettanto potenti, come quelle di origine albanese o nigeriana dedite al traffico di stupefacenti e quelle dell’Europa orientale specializzate nelle truffe carosello a danno dell’erario dell’Ue». Per Bernasconi «efficace e urgente» è «il controllo preventivo sulle centinaia di società bucalettere, che, con la massima facilità, pregiudicati e faccendieri possono oggi costituire indisturbati in Svizzera, Ticino e Mesolcina compresi. Basterebbe una semplice norma dell’Ordinanza federale sul Registro di commercio: l’obbligo per gli ufficiali del Registro di iscrivere soltanto quelle società finanziarie e fiduciarie che dimostrano di avere ottenuto un’autorizzazione preventiva ad affiliarsi a uno degli organismi autorizzati di autodisciplina antiriciclaggio».

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