Estero

Mladic condannato, la giustizia batte un colpo

(Francesca Agosta)
23 novembre 2017
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La condanna all’ergastolo di Ratko Mladic per genocidio giunge in «un momento molto difficile, molto critico» per la giustizia internazionale. A dirlo è Carla Del Ponte, che due mesi fa se n’è andata sbattendo la porta dalla Commissione d’inchiesta indipendente Onu sulla Siria. L’ex procuratore capo del Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia (1999-2007) ha denunciato più volte “l’impunità totale”, la mancanza di volontà politica di perseguire i crimini di guerra commessi in questi anni nel Paese mediorientale: “Non c’è nessuna luce di speranza. È buio pesto”, ha dichiarato a fine settembre al ‘Blick’. La sentenza giunta ieri dall’Aja deve avere per lei – che non riuscì a catturare Mladic, ma che al suo arresto contribuì in maniera decisiva – un retrogusto amaro. Che non le impedisce però di accogliere la notizia con «immensa soddisfazione».

Carla Del Ponte, perché la sentenza emessa ieri dal Tpi è così importante?

Per diversi aspetti. Prima di tutto perché Mladic era il più alto responsabile dei crimini commessi nei Balcani dopo la morte di Milosevic [l’ex presidente della Serbia, morto in carcere nel 2006 all’Aja, dov’era in corso il processo per crimini contro l’umanità, ndr]. E poi c’è la soddisfazione per una condanna alla reclusione a vita. Finalmente! Perché a Karadzic [il leader dei serbi di Bosnia condannato nel marzo del 2016 all’Aja con l’accusa di genocidio per il massacro di Srebrenica, ndr] erano stati dati solo 40 anni. Infine, oggi io penso a tutte le vittime civili di questo conflitto: finalmente ottengono giustizia. E questo è molto, molto importante per la pace, per la democrazia.

Non la pensano così coloro che, in Serbia e nella Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, considerano ancora oggi Mladic un eroe.

È vero: Mladic gode ancora di un certo sostegno in alcune cerchie. Ma è una minoranza. Mi ricordo dell’arresto di Milosevic: sembrava dovesse esserci una sollevazione in Serbia. Ma non c’è stato assolutamente niente. Stessa cosa per Mladic. Coloro che ancora lo sostengono hanno vita corta. La sentenza, una volta pubblica e accessibile a tutti, dimostrerà la crudeltà e la colpevolezza di questo criminale di guerra. Ci vorrà un po’ di tempo prima che passi, ma passerà.

I Paesi nati dallo smembramento della Iugoslavia non hanno conosciuto una ‘commissione verità,’ come quelle istituite in Sudafrica, in Ruanda o ancora in Guatemala. Una simile istanza non avrebbe potuto rendere più efficace, incisiva l’azione del Tpi?

La commissione la si voleva fare quando io ero all’Aja. Ci eravamo opposti. La nostra convinzione era: prima giustizia, poi riconciliazione. Non so giudicare se oggi una commissione di riconciliazione sia necessaria o no. Se lo fosse, è comunque adesso, al termine dell’attività del Tpi, che andrebbe istituita. Ma è una questione di volontà politica. Tuttavia, credo che sia piuttosto la giustizia nazionale a doversi forse attivare maggiormente: perché molti esecutori dei crimini durante la guerra nella ex Iugoslavia sono sempre a piede libero.

Il Tpi conclude a fine anno la sua attività. Quale bilancio si può stilare?

Tutti gli alti responsabili civili e militari dei crimini commessi nella ex Iugoslavia sono stati portati davanti al Tpi, perciò il mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu è stato eseguito. E giustizia è stata ottenuta. Il Tpi è un grande successo della giustizia internazionale, che invece adesso sta vivendo un momento molto difficile, molto critico.

La sentenza di ieri è anche un po’ sua.

Sì, mia e dei miei collaboratori dell’epoca. Abbiamo fatto tutta l’inchiesta, ottenuto il mandato d’arresto: avevamo la strategia giusta, ci è giusto mancato il tempo per arrestarlo. Oggi mi sono ricordata di tutto il lavoro che abbiamo fatto per localizzare e far arrestare Mladic: quante volte abbiamo saputo dov’era e poi non ce l’hanno arrestato perché il governo di Belgrado lo proteggeva!

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