Commento

Mettendo al centro il futuro

(Benedetto Galli)
18 novembre 2017
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Accade a tutti prima o poi di rendersi conto con un certo sgomento che ci si sta ripetendo. In genere lo sconcerto è del tutto giustificato, e non prefigura niente di buono. Non è però detto che si debba abdicare alla coltivazione di un moderato ottimismo verso le proprie facoltà mentali. Ci si ripete, a volte, semplicemente perché ci si è imbattuti in un’evidenza, un dato di fatto, una più o meno grande verità. Che merita di essere ricordata o ribadita, confidando più nella forza del suo messaggio che non nella nostra modesta capacità di penetrarla e condividerla con il prossimo.

Senza particolari meriti personali, mi sono imbattuto in questa riflessione grazie a Castellinaria, festival internazionale del cinema giovane. La sua anima – la sua verità – da trent’anni sta nel fatto di porre al centro i giovani, il loro sguardo e il loro vissuto, la loro intelligenza. Soprattutto, di dare loro fiducia, mettendo sul piatto delle occasioni di scoperta che, paradossalmente, nella società del possesso facile sono sempre più spesso negate loro, precluse da una cultura della “medietà” (o mediocrità), che tende a farne quando non efficienti produttori di cose, almeno infaticabili consumatori.

Castellinaria li mette al centro. Anzitutto presentando film che parlano di loro, in cui possibilmente ritrovare il loro mondo in forma non banalizzata né manipolatoria, come spesso si rivela una certa industria culturale, interessata più che altro a monetizzare l’investimento in “temi giovani”. Non solo, il festival offre loro diritto di parola, come raramente accade (e accadrà) nella loro quotidianità; li invita a esprimere un punto di vista, a riflettere su ciò che hanno visto, su ciò che ha suscitato in loro in termini emotivi e intellettuali; li invita ad assumersi la responsabilità di un pensiero loro, tutto loro, critico, autentico, potente.

A molti ancora sfugge, ma è utile ricordare che a Castellinaria le giurie sono composte dai ragazzi. Sono loro a giudicare i film e ad assegnare i premi. E chi li ha intravisti al lavoro, mentre confrontano le reciproche opinioni per approdare a uno sguardo condiviso, sa che lo fanno in modo quanto mai onesto e inflessibile, come nessuna giuria di adulti più o meno celebri (e retribuiti) sa fare in festival ben più grandi. Gli altri, i tanti che assistono alle proiezioni con docenti e compagni di scuola, potranno fare una parte di quel lavoro in aula, dopo la proiezione.

Forse quell’esperienza seminerà in loro qualcosa. La scoperta di una realtà o di una prospettiva che esce dall’ordinario e interroga a fondo, appare quanto mai vitale al tempo dell’impero dell’omologazione, inconsapevole e acritica.

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