Scienze

Libertà di (auto)distruzione

Libertà a Bonn
14 novembre 2017
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Crescita dei gas serra, crollo del numero di animali e aumento degli umani, disboscamento, riduzione dell’acqua... Ma c’è anche qualche buona notizia; da lì occorre partire, in fretta.

Ex vicepresidente, ex candidato alla presidenza, Premio Nobel per la Pace nonché Oscar per il documentario ‘Una scomoda verità’, Al Gore è la voce più influente dell’ambientalismo a stelle e strisce. E, nonostante le posizione dell’attuale presidente, non ha dubbi: negli Usa la protezione dell’ambiente sta facendo progressi a livello sia federale che locale. In altre parole, il treno dell’Accordo di Parigi «è già partito: non siamo tanto lontani da una coalizione di lavoro al Senato e alla Camera», ha detto a margine della Conferenza mondiale dell’Onu sul clima, in corso a Bonn. «La cosa impressionante è che migliaia di imprese si lamentano dell’andamento del governo – ha concluso Gore – e si impegnano da sole per arrivare al 100% di energie rinnovabili».

Gli scienziati preoccupati

Insomma, piccole buone notizie, in un contesto globale in cui s’iniziano a scoprire le prospettive economiche della “rivoluzione verde”. Il problema, come ribadisce l’Unione degli scienziati preoccupati, è che il lavoro per “salvare” il pianeta è ancora tutto da fare e i dati di cui disponiamo indicano un generale peggioramento della sua salute. Non è bastato il loro primo appello, lanciato 25 anni fa. I progressi fatti per limitare i danni provocati dall’uomo al pianeta con cambiamento climatico, deforestazione, mancanza di accesso all’acqua, sovrappopolazione e animali in estinzione, sono stati troppo pochi.

Per questo l’Unione degli scienziati preoccupati ha deciso di lanciare sulla rivista ‘Bioscience’ un secondo allarme, con l’hashtag #ScientistsWarningToHumanity, affinché si agisca prima che i danni diventino irreversibili. Il primo avviso, lanciato nel 1992, fu sottoscritto da 1’700 firmatari, tra cui molti Premi Nobel. Quello lanciato oggi, a un quarto di secolo di distanza (dai ricercatori William Ripple, dell’Oregon State University, e Thomas Newsome, dell’Università di Sydney) ha avuto un’eco ben maggiore, grazie anche alla campagna sui social, finendo per raccogliere finora le adesioni di 15’000 ricercatori di 184 Paesi.

‘Presto sarà troppo tardi’

Il quadro delineato dagli esperti è poco incoraggiante: fra le 9 aree su cui l’appello del 1992 indicava di intervenire, l’unico miglioramento consistente registrato è nell’aver fermato la crescita del buco dell’ozono. Qualche progresso è stato fatto nell’aumento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, nel calo della fertilità grazie all’istruzione femminile e nel rallentamento della deforestazione in alcune aree. Dati che, secondo i ricercatori, dimostrano che se ci si impegna davvero dei risultati si possono raggiungere.

L’elenco delle brutte notizie è, però, molto più lungo. Nei 25 anni trascorsi si è avuta una riduzione del 26% dell’acqua disponibile per persona, una crescita del 75% del numero di zone morte nell’oceano, la perdita di circa 121 milioni di ettari di zone boschive convertite principalmente all’agricoltura, e un calo del 29% del numero di mammiferi, rettili, anfibi, uccelli e pesci, una crescita del 35% della popolazione umana e il continuo aumento delle emissioni di carbonio e delle temperature a livello globale.

Sono 13 le aree, secondo i ricercatori, su cui lavorare per ridurre i danni dell’uomo, rendendo più sostenibile la sua presenza per il pianeta; come promuovere una dieta con meno carne, il ricorso alle fonti di energia rinnovabile, la creazione di riserve marine e terrestri, l’adozione di leggi anti-bracconaggio, la limitazione della crescita della popolazione con interventi di pianificazione familiare ed educazione femminile. «Presto sarà troppo tardi per cambiare le cose – dicono gli esperti –. Ma possiamo fare grandi progressi per il bene dell’umanità e del pianeta da cui dipendiamo».

E le emissioni di CO2 aumentano

È questo il principale campanello d’allarme per tutto il pianeta: quest’anno le emissioni di anidride carbonica, il gas serra che più contribuisce al riscaldamento globale, torneranno a crescere. È la prima volta dopo tre anni di emissioni stabili e gli scienziati sono preoccupati: con l’aumento del CO2 in atmosfera gli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale stabiliti dall’Accordo di Parigi sono a rischio. L’appello arriva dal rapporto 2017, ‘Global Carbon Budget’, presentato ieri a Bonn (e pubblicato sulle riviste ‘Nature Climate Change’, ‘Environmental Research Letters’ e ‘Earth System Science Data Discussions’). Le analisi sono state condotte da 76 scienziati di 57 istituti di ricerca di 15 Paesi e ribadiscono che questa situazione mette a repentaglio gli obiettivi dell’Accordo sul clima di Parigi.

È «una delusione», afferma Corinne Le Quéré, direttrice del Tyndall Centre for Climate Change Research dell’ateneo britannico dell’East Anglia. Si rischia, sottolinea, di non fare in tempo «a mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi, figurarsi entro il grado e mezzo».

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