L'editoriale

Lezioni di vita

31 ottobre 2014
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Alla fine di questa settimana commemoriamo i defunti. Un momento particolare nella vita di tutti noi. Ricordo che, da bambino, insieme ai miei fratelli, seguivo i genitori al cimitero in visita a parenti e amici di famiglia defunti. Quelli della mamma (a Riva San Vitale e a Chiasso) e quelli di mio padre (a Morcote) in un cimitero dalla vista impagabile. Era un’occasione di raccoglimento per loro e di recupero della memoria per noi. Magari anche attraverso le fotografie, quando c’erano, di quel lontano parente che assomigliava – accidenti se assomigliava! – a quella zia o quel cugino ancora in vita. E gli assomigliava, non solo per la forma del naso o il taglio degli occhi, ma anche per quella strana maniera di lasciarsi crescere la barba o i baffi o raccogliere i capelli. Insomma, tutto scorre, ma tutto si collega. La visita al cimitero era anche l’occasione per rendersi conto di come fossero molto unite e poco mobili le comunità precedenti. Tante, troppe persone, portavano in quel luogo il cognome di tuo padre o di tua madre. Ma poi scoprivi, dopo aver chiesto ‘ma quello lì è nostro parente?’ ‘e quello là, pure lui?’ che in paese a distinguerli c’era il soprannome. E scoprivi anche che non era sempre bello che te ne affibbiassero uno quelli del paese, perché nel bene (se avevi fortuna), ma soprattutto nel male (quando purtroppo ti capitava), il soprannome e il suo significato te lo portavi persino nella tomba quasi fosse un marchio. Fra i defunti c’erano poi quelli meno fortunati, ma pure loro finiti democraticamente come i ricchi sotto tre metri di terra. Chissà, forse non avevano più nessuno che li andasse a trovare. Le loro tombe erano senza fiori, infestate dalle erbacce, con gli epitaffi ormai quasi illeggibili, erosi dal tempo. O magari non avevano avuto eredi o ci avevano litigato. O forse i loro figli avevano dovuto lasciare la terra natìa. Notarlo ti faceva comunque capire che la vita, fuori dal nido familiare, poteva riservarti di tutto. Io che ero fra le Elementari e il Ginnasio facevo quelle ‘visite guidate’ fra volti e nomi senza particolare coinvolgimento emotivo. Anzi, qualche volta ti beccavi anche un’alzata dai tuoi, perché in cimitero non si doveva parlare a voce alta, non si poteva scherzare e tanto meno saltare su qualche bordo di granito. Ma tra noi fratelli come si faceva a non ridere nel vedere certe foto o nel leggere certi strani nomi? Il coinvolgimento emotivo è arrivato più tardi, quando i morti li si è conosciuti da vivi. Beh, allora sono entrato in un’altra dimensione e ho cominciato a comunicare con quella lapide sotto la quale ha trovato posto il nonno o la nonna che avevi conosciuto, e anch’io ho cominciato a lasciare un segno cercando un senso: un fiore, un pensiero, una preghiera. Riandando a quei momenti mi accorgo ora che erano le prime fondamentali lezioni di vita. Di vita vera, di importante recupero delle radici e di sguardo sull’esistenza umana. Per rendersi umilmente conto che noi ci siamo perché prima ci sono stati loro. Che loro in qualche modo sono in noi, sono parte di noi e che spesso ci assomigliano pure. Fuori e anche dentro. Qualche volta non subito, saltano una generazione, ma poi qualcosa di chi ci ha preceduto lo si ritrova ancora in certi comportamenti, in certi tratti fisici, in certe capacità e pure in taluni vizi. È la vita e la sua grande e misteriosa ruota che gira e rigira.

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