L'editoriale

Le pietre dell’antico muro

30 luglio 2016
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Cari lettori, quest’anno è davvero dura trovare ispirazione e parole giuste per una riflessione in occasione del Primo di Agosto. Si può scrivere tutto quello che si vuole, ma sai già che chi ti legge ha ben incise nella propria mente le terribili immagini delle ultime stragi. E sempre più spesso si chiede: ‘Ma cosa deve ancora succedere?’, ‘Cosa ci riserverà il domani?’. Così è, poiché, senza sosta, puntualmente, mentre scorrono le settimane, ci raggiungono notizie sconvolgenti da Paesi che ben conosciamo, che ci circondano. Paesi amici. Vorremmo pensare ad altro, vorremmo tanto voltare pagina, ma è difficile. Quasi impossibile. Vorremmo anche capire meglio cosa sta succedendo, ma anche questo non è facile.
Dovremmo dunque festeggiare? Certo che lo dobbiamo fare, anzi: a maggior ragione! E dobbiamo farlo cogliendo al balzo proprio anche le brutte notizie per alimentare la nostra presa di coscienza per la fortuna regalataci dal modello elvetico. Spesso per abitudine diamo per scontate tante cose, che però scontate non sono, perché sono costate lotte e sacrifici alle generazioni che ci hanno preceduto. Conquiste che noi, oggi, nel nuovo millennio troviamo lì bell’e pronte e stentiamo ad accorgerci della grande fortuna di poterle avere. Prendiamo ad esempio la scuola pubblica dell’obbligo: siamo maggiormente disposti a criticarla o a riconoscerne il valore? Di questi tempi è decisamente più forte il primo sentimento di critica, a tratti anche feroce e superficiale. Si sdogana l’equazione docenti = demotivati ecc. Meglio sarebbe invece puntare su di una critica costruttiva, per non correre il rischio di buttar via il bambino con l’acqua sporca. Ma, molto probabilmente, ci accorgeremo del valore di questo tesoro solo quando – speriamo non avvenga mai – la scuola pubblica – che dietro di sé ha un forte ideale di democrazia – dovesse venir seriamente indebolita. E allora saremo tutti (o quasi) pronti a dire ‘peccato che la nostra scuola è così mal ridotta, una volta sì che funzionava…’. Questo singolo esempio per dire che mai vorremmo che il nostro modello di convivenza pacifica fra persone che parlano lingue diverse, che hanno abitudini culturali e persino pratiche religiose differenti, venga seriamente compromesso. Mai vorremmo, a maggior ragione, che questo modello fosse fatto saltare in aria da qualcuno che viene da fuori. Ma, per non permettere che le crepe finiscano per compromettere la statica nella costruzione del nostro antico muro, dobbiamo essere coscienti dell’alto valore del nostro modello di convivenza politica e sociale e di ogni sua singola pietra. Il che significa non lasciarsi trascinare in sterili polemiche politiche, non permettere che tensioni religiose degenerino, o, peggio ancora, che tensioni politiche si trasformino in attriti rivolti a comunità religiose e a minoranze. Il che significa saper misurare con la ragione le reazioni invece che cedere all’istinto. Per questo però ci vuole – e il nostro lo è! – uno Stato che funzioni, che sappia rassicurare i cittadini; ci vuole anche – e la nostra lo è? – una politica responsabile capace di andare subito al dunque nelle emergenze. Per questo ci vogliono – lo siamo? – cittadini saggi (che non dimenticano la storia e guardano lontano). Nei secoli chi ha abitato le nostre terre, osservando ciò che stava succedendo appena fuori dai confini elvetici, ne ha viste di tutti i colori. Nel Novecento poi… Anche questo è un momento grave, nel quale ciascuno è chiamato a fare responsabilmente la propria parte. Tenendo conto che la pace e la convivenza pacifica nel rispetto delle differenze reciproche sono valori collaudati e preziosi, di cui prendersi cura. Valori che vanno continuamente ricercati e coltivati, soprattutto nelle avversità. Viva la Svizzera! E ciò che rappresenta!

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