L'analisi

Le debolezze del favorito

6 maggio 2017
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Dice una battuta vecchia come la Quinta Repubblica: “Al primo turno si sceglie e nel secondo si elimina”. E, stando ai sondaggi, domani nella “tagliola” prevista dal sistema elettorale francese dovrebbe finire Marine Le Pen. Che per sperare di giungere all’Eliseo avrebbe dovuto quantomeno vincere il più rissoso dibattito tv degli ultimi cinquantasette anni.

Così non è stato, anche per aver voluto “trumpizzzare” il confronto: falsità, insinuazioni, insulti, errori, superficialità. Probabilmente non sarebbero bastati nemmeno un aplomb più consono, una preparazione più adeguata, per corrispondere alla figura di monarca repubblicano che la costituzione assegna al capo dello Stato. Inoltre, l’avversione per l’estrema destra xenofoba e razzista è ancora abbastanza diffusa, e sospettosa rispetto al maquillage politico operato dalla figlia di Jean-Marie, l’ex reduce della guerra d’Algeria e della decolonizzazione, per il quale le camere a gas naziste furono un “dettaglio della storia”, nemmeno deprecato. Ma è certo che la goffa imitazione del suo sostenitore americano ha più che altro danneggiato la candidata del Front National.

Non c’è dunque incertezza sull’esito finale di un voto a cui l’Europa affida la sua rivincita? Di una consultazione che ha confermato le fratture di una Francia apparentemente inconciliabile? Non proprio. Una quota di insicurezza rimane. Perché ha le sue debolezze anche il “vincitore annunciato”, Emmanuel Macron, prodotto di un sistema in cui la politica si è consegnata all’élite finanziaria, indifferente agli esclusi di una mondializzazione non governata. Ben il 47% di chi voterà l’ex ministro di Hollande confessa di non appassionarsi allo stile e alla personalità del giovane tecnocrate; ne riconosce la maggiore competenza, ma senza entusiasmo. Più della metà dei suoi elettori, infatti, non nasconde di fare una scelta più che altro in mancanza di alternative migliori. Uno stato d’animo che, insieme al rifiuto ideologico della sinistra radicale di Mélenchon e di parte del partito socialista, potrebbe favorire un alto tasso di astensionismo, comunque temuto da Macron.

Altri potrebbero essere scoraggiati dal recarsi alle urne (peggiorando il più basso tasso di partecipazione, quello del 1969, vincitore Georges Pompidou) a causa di un futuro quadro parlamentare complesso e confuso; e qualcuno preconizza uno scenario da Quarta Repubblica, simbolo di instabilità governativa. L’edificio istituzionale voluto dal generale De Gaulle prevede che un presidente abbia la maggioranza all’Assemblea (per la quale si voterà a metà giugno). Prospettiva per nulla garantita per il leader di ’En marche!’, movimento fondato solo un anno fa, senza una rete consolidata e ancora povero di personale politico, che dovrà subire l’assalto di post-gollisti e socialisti in cerca di riscatto per imporre una qualche forma di coabitazione al futuro capo dello Stato.
Macron ha già fatto il miracolo di un europeista vittorioso al primo turno; domani sera dovrebbe fare il secondo come primo presidente apartitico; ma il più difficile da realizzare potrebbe essere il terzo, quello parlamentare.

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