Commento

Le corrosioni della democrazia

31 marzo 2016
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Se non ci fossero stranieri, immigrati, richiedenti l’asilo, l’Europa e l’Islam, alcuni movimenti o partiti si affloscerebbero come mongolfiere senza fiamma. Sa di paradosso, ma dovrebbero augurarsi il ‘male’ che permette loro di essere e prosperare. Non si può però negare (e qui facciamo il verso al sociologo tedesco Ulrich Beck) che è lo spazio politico attuale a generare quelle fortune elettoralistiche. Spazio modificato da due fattori: l’aumento dell’incertezza (personale e collettiva); la progressiva sostituzione della congiunzione ‘o’ (amico o nemico) con la congiunzione ‘e’, che è poi la dissoluzione della fiducia nel prossimo e nelle istituzioni. Bisognerebbe aggiungere un terzo fattore che imbambola anche i partiti tradizionali: il corto-terminismo, metodo mefitico derivato dall’economia con la sua ricerca della immediata redditività. La necessità, quindi, di pensare breve e in fretta, di ottenere effetto fulmineo. Spesso intruppandosi nei temi che fanno subito un seguito, con il pretesto di ascoltare la gente, senza lungimiranza e capacità nel vedere oltre e di più, ribolliti dentro una sorta di provincialismo temporale per il quale la politica non è altro che cronaca e sulla cronaca si devono innestare le rendite di posizione partitiche. Nello spazio politico dell’incertezza e della sfiducia generalizzata si è innestata una parola importata sempre più minacciosa e di cui si cercano eventuali propaggini anche in Svizzera: fondamentalismo. Che, com’è comunemente inteso, è la tendenza o il movimento (religioso) che pretende di fondare l’organizzazione sociale su una verità (stato teocratico), ricorrendo anche a violenza e terrorismo. Ci sono però due altri fondamentalismi che assediano in diverso modo la democrazia. L’uno potremmo definirlo identitarismo, il quale, calcificandosi in alcune supposte identità nazionali, giudica non necessaria o nociva ogni trasformazione, alimentando così incertezza e sfiducia e proprio nelle istituzioni che vorrebbe difendere. L’altro potremmo definirlo riduzionismo economicista o tecnocratico, che ritiene la democrazia un semplice strumento al servizio della globalizzazione, del mercato incondizionato, della massima competitività, della riduzione del lavoro a un costo, della finanza e della redditività e della crescita senza limiti. Anche questi due fondamentalismi, senza tragica visibilità e risonanza, lasciano le loro vittime sul terreno e bisognerebbe tenerne conto. In quest’ultima scia dovremmo aggiungere un altro fattore che corrode il sistema democratico: l’extralegalità. Emergono società ombra che sono riuscite a creare strutture parallele, intrecciando interessi che scavalcano la democrazia e, grazie alla transnazionalità o alla capacità di movimento e di trasferimento, riescono ad ostacolare il controllo politico o a rendere sempre più complicato e laborioso l’intervento della Giustizia. Se pensiamo anche solo al microcosmo ticinese ci rendiamo conto, pressoché ogni giorno, che quella corrosione non è da poco.

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