L'editoriale

La sfida è nel viaggio

1 giugno 2016
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Il Gottardo fra qualche mese ci collegherà più velocemente al mondo, a partire dal resto della Confederazione, ma l’inaugurazione del nuovo secolo ferroviario è rinviata di quattro anni, al 2020 quando sarà accessibile anche la galleria di base del Ceneri. Solo allora il Canton Ticino si sveglierà aprendo gli occhi su un’unica e grande città, attorniata da valli e montagne. Se è vero come è vero che in soli 13 minuti Bellinzona sarà collegata a Lugano, da stazione a stazione e dunque da centro a centro città. Mentre per unire i due laghi ticinesi (Ceresio e Verbano) basteranno 23 minuti. Una fitta e cadenzata rete ferroviaria – coi treni Tilo – unirà i quartieri ticinesi e la Città Ticino al resto della Svizzera. Ce lo siamo detti e scritti più volte, ma temiamo che la maggior parte dei cittadini non abbia ancora avuto occasione di rifletterci abbastanza, di comprendere davvero la portata del cambiamento alle porte. Che è già l’oggi, perché quattro anni bastano appena a far campagna elettorale, per dire. A illudere e illudersi, che magari nulla cambia. E invece no, questa volta muterà davvero l’intero panorama socio-economico di un Cantone poco propenso alle novità. Già per il sol fatto che lavorare sulle rive del Ceresio e abitare sotto i castelli bellinzonesi, o sulle colline del Verbano, non sarà più cosa complicata. Anzi. In tredici – o anche ventitré – minuti non si riesce manco a leggere un giornale. È giusto il tempo per un caffè. La ferrovia, come in passato, aprirà varchi là dove l’uomo fatica ad avventurarsi. Per timore e inesperienza. È stato così nel 1882, con la prima galleria ferroviaria del Gottardo, quando il Ticino abbandonò un isolamento fatto di miserie e solitudine; sarà così dopo il 2020, quando il Ceneri finirà d’essere quella vera frontiera che separa due ‘culture’ ancor prima che due popoli. Recandosi più spesso Sopra e Sotto, si potrà finalmente scoprire che il Canton Ticino ha senso, è paradigma federalista, proprio perché capace di tenere insieme (sino ad oggi in modo traballante) cittadini altrimenti orgogliosi della propria identità locale. Anzi, particolare. Sarà dunque la ferrovia, col tempo, a unire ciò che l’uomo – più che la natura – ha diviso: ad aggregare Comuni altrimenti disgregati, a far conoscere abitudini simili eppure diverse e qui starà la scommessa. Quale sarà l’anima della futura Città Ticino? Guarderà ancora più al Sud, verso l’agitato, appassionato eppure incerto Mediterraneo o volgerà lo sguardo al Nord, dove il riformismo ha fatto la storia della modernità? O sarà qualcosa d’altro, un crogiolo, un meticciato di culture e saperi, capace di cogliere quanto di buono e di bello l’altrove sa offrire, a partire dai propri specifici localismi per poi spaziare alle diversità contraddittorie, proprie delle frontiere? Se è vero che accorciare il tempo significa in qualche modo abbreviare la vita, tanto vale moltiplicarla. Perché alla fine la vera – e sopportabile – identità è quella che sa riprodursi, come l’araba fenice, volta per volta, consumando e consumandosi in gesti di generosità. Inconsapevolmente verso sé stessi, nel mentre volgiamo lo sguardo agli altri. Qualsiasi treno si voglia prendere, poco importa. Perché il viaggio è più importante della meta. Ed è forse questo il fine ultimo, il vero messaggio di Alp-Transit, che la maggioranza dei ticinesi dovrebbe far proprio. Comunque vada sul quel treno si deve salire, con tutta l’intelligenza e le capacità che siamo capaci di avere e dare. Con tutto il coraggio che serve per dire: eccoci qua, ci siamo. Da protagonisti.

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