Commento

La scelta di Petra Weiss

10 maggio 2017
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Lo sciopero della fame che Petra Weiss ha iniziato il primo maggio nella prospettiva di riprendere possesso, come auspico, della casa materna a Meride, segno distintivo delle radici e di un legame inestinguibile, presenta una cornice che va oltre il singolo contesto pur partendo da quanto avvenuto, come spesso accade nella vita. In altre parole, qual è il significato di questa azione oltre le ragioni personali che l’hanno messa in essere? Cosa ci dice, oggi, il volto di Petra se pensiamo al rapporto tra sacralità del corpo e dinamiche di potere? Quale interazione si genera, tra potere e soggetto, nei termini di appartenenza e riconoscimento sociale?

Sul piano filosofico, politico, la scelta coniuga ed esprime valori su cui sarebbe opportuno riflettere in senso ampio per non circoscrivere l’esperienza “al solo caso personale”, accogliendo una posizione che riguarda tutti, perché culturale. Parliamo di un’interpretazione del sé che si esplicita intorno al corpo e dentro di questo e lo fa in uno spazio che diventa pubblico, aperto. Il corpo-mente è tramite di un rapporto fecondo, generativo, che rinnova l’io-tu alla base di ogni relazione umana. È il diritto a interrogarsi, “la volontà di verità”, di costituire e costruire la propria soggettività momento dopo momento. Tempo ritrovato che si libera praticando una rinuncia decisa e determinata, spazio di libertà distante dal potere che circonda in senso pervasivo e reticolare la nostra vita, così come siamo mossi dai consumi, sottoposti a continue offerte, consegnati a dover essere funzionali, performativi, efficienti.

Ricordiamo quanto le pratiche di liberazione del femminismo, insieme ad altre strategie politiche e di cura, penso soprattutto al lavoro di Franco Basaglia, siano state forme di rivolta che hanno prodotto e sviluppato un nuovo sapere. Questa visione porta a quello che possiamo definire valore della disobbedienza e il titolo dell’intenso e profetico scritto di Don Milani, ‘L’obbedienza non è più una virtù, coglie appieno l’idea di un discorso non servile con le istituzioni e con chi le rappresenta.

Negli anni 60, Francesco Alberoni aveva capito molto bene la dialettica che intercorre tra queste stesse e i movimenti, anticipando quello che oggi chiamiamo sguardo “dal basso”: cittadinanza, critica dei processi decisionali, lettura dei vissuti e dei sentimenti che li animano, riscoperta delle storie senza storia. Gli scritti di Michel Serres e di Reinhart Koselleck rimandano con toni diversi al significato del trasgredire quale ricchezza di pensiero e azione; agitare il panorama della nostra vita significa differenziare, ampliare il punto di vista, testimoniare.

Ecco perché la scelta del digiuno è elemento politico che interroga sulla possibilità di non conformarsi alle regole, al metodo, ai tempi delle istituzioni, determinando con un gesto intimo, silenzioso, l’unicità di uno spazio inviolabile. Dalla tenda per la notte, al gazebo che protegge Petra da pioggia e intemperie e che ospita persone intente a dialogare, la piccola agorà di Meride è luogo, per dirla con Michel Foucault, dove nasce un’etica che “rovescia il soggetto” in vista di un nuovo linguaggio.

Per questo, Petra Weiss sperimenta un’azione non solo personale, ma collettiva, allineando i suoi gesti a quelli di altre persone che in diverse parti del mondo compiono atti di autonomia e liberazione, anche in circostanze molto più drammatiche. Quello che negli anni 70 chiamavamo pensiero radicale e che oggi dovrebbe essere riscoperto come valore politico, sempre che ce ne sia il desiderio.

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