Commento

La razionalità nell’inevitabile

17 gennaio 2017
|

C’è una frase, forse più di altre, che riassume quale tipo di persona sia Doug Shedden. È l’esortazione un po’ prematura a vincere qualunque cosa pronunciata a inizio settembre, all’inaugurazione ufficiale della stagione. «Abbiamo quattro possibilità per farlo» dice, alludendo a campionato, Champions, Spengler e Coppa Svizzera, «Con una squadra che sulla carta è cresciuta, ha della profondità, e a livello di portieri non ha nulla da invidiare a nessuno». Invece quel progetto è destinato a rimanere tale, con il cinquantacinquenne tecnico dell’Ontario che si fa scaraventare fuori dal treno in corsa. Non solo perché non appare più in grado di raggiungere i suoi obiettivi: bensì anche perché, come spesso capita quando il messaggio non passa più, o non passa più completamente, non dà l’impressione di aver la situazione sotto controllo. Lui che, sfruttando pure la sua irruente energia da ‘rocker’ magari un po’ in là con gli anni, non più di dodici mesi fa compiva il miracolo, rianimando un gruppo che sembrava perdersi nell’hockey eccessivamente dogmatico di Patrick Fischer, portandolo fino a un passettino dal titolo. Cambiando così radicalmente il clima nei corridoi di una Resega che alle delusioni cocenti pareva ormai essersi assuefatta. Da quel mese d’aprile, però, ne sono successe di cose. Mentre tra un mugugno e l’altro l’immagine pubblica di Shedden comincia a sbiadire. E, se è vero – com’è vero – che un allenatore non deve per forza risultare simpatico a tutti, è altrettanto scontato che il suo principale compito sia tirar fuori il meglio da quello che ha a disposizione. Il punto è che nell’ultimo periodo a Shedden non sembra riuscire né l’uno, né l’altro. Con un gruppo che, non dimentichiamolo, da quando è rientrato un Lapierre da lui stesso fortemente voluto, è tornato sostanzialmente quello che aveva conteso al Berna l’ultimo titolo, tolto quel Fredrik Pettersson che nel frattempo s’è dato alla macchia. Dopo aver evitato il naufragio a dicembre (anche perché, e la spiegazione di Vicky Mantegazza è convincente, la società glielo doveva), Shedden e il fedele Pat Curcio diventano vittime della seconda onda anomala. Ma, se anche così non fosse successo – lo dicevano i segnali, mentre ora lo confessa pure la dirigenza –, sarebbero saltati comunque a inverno concluso: contratto o no, era solo questione di tempo. E giocare d’anticipo, decidendo prima, che la strada da percorrere non sarebbe più stata la stessa, è pure l’unica via percorribile per arrivare alla nuova stagione con le basi di un nuovo progetto cementate in testa. Progetto tagliato su misura per un nuovo allenatore (l’ennesimo) il cui ingaggio è frutto di una scelta ponderata, poiché ragionata con largo anticipo. In tutto questo c’è però almeno una nota stonata, nel lunedì di pulizia, ed è il ‘mea culpa’ di Roland Habisreutinger. Quando il ‘diesse’ bianconero dice di assumersi le sue responsabilità («non fossi andato in congedo in Alaska, in qualche modo avrei potuto magari influenzare qualche scelta» dice, tornando con il pensiero all’estate), ma di volerlo fare unicamente davanti al Cda, non alla stampa. Dimenticando però qual è il ruolo dei media, e cioè informare il pubblico. E di conseguenza i tifosi. Ora che a bordo c’è Greg Ireland, redivivo coach canadese che cinque anni fa tolse il Lugano d’impiccio, salvandolo in quattro mosse nella nausea dei playout, la situazione non muta di una virgola. Idealmente, quella del canadese dal nome fin troppo europeo è una missione a termine, pur se solo la storia ci dirà come finirà davvero. Una missione, però, di fondamentale importanza. Non è un caso, infatti, se il suo arrivo è stato piazzato alla vigilia di due sfide capitali come quelle contro Ginevra (oggi) e Kloten . E se, come raccontano le statistiche, cambiare allenatore in corsa alla lunga non dà poi tutti questi benefici, gli stessi numeri dicono che, spesso, quando in panchina c’è un volto nuovo, effettivamente un effetto ‘scossa’ ci può essere. Ed è proprio ciò su cui contano i vertici del Lugano, dieci partite prima che si inizi a giocare a hockey sul serio.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔