Commento

La domenica delle illusioni

9 maggio 2017
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Ora che Marine Le Pen è stata debitamente rimessa al suo posto, sarà bene non confondere la drammaticità della situazione reale con lo scenario illuminato dalle illusioni di cui la domenica elettorale francese è stata prodiga.

Le illusioni della sconfitta, dapprima. Non tanto quella di potercela fare su un Macron coccolato dai media e dall’establishment – sentimento che l’aveva già abbandonata sin dalla meschina prestazione nel confronto televisivo – ma quella di poter incarnare, raccogliere attorno a sé un’opposizione, un’alternativa al “sistema”. È vero che i milioni di voti raccolti dalla candidata del Front National sono stati una enormità, ma ritenere che ad essi corrisponda una forza progettuale o di governo è già una proiezione più che una stima attendibile della realtà. Le Pen si è spinta forse troppo avanti, annunciando una trasformazione di Fn in uno schieramento che raccolga a destra ciò che i gaullisti hanno disperso. La sua forza altro non è che quella di una rabbia informe, associata a una ideologia le cui radici sono note. Sulle quali, non a caso, hanno rivendicato un diritto non solo il padre, vecchio fascista, ma anche la nipote Marion, fascista anche lei, ma giovane. Che Marine possa ottenere una stessa messe di consensi prescindendo da quella matrice originaria è irrealistico.

Lo stesso vincitore dovrà presto adeguare l’azione politica all’enfasi del suo messaggio. Toccherà a lui per primo riportare con i piedi a terra folle e commentatori che hanno volato alto a proposito della “svolta” indotta dalla sua elezione. Non gli sarà facile, considerato lo stato di campagna elettorale permanente che caratterizza oggi l’esercizio del potere quando finisce nelle mani degli uomini “nuovi”, quasi a indurre i sostenitori a darci dentro per essere loro stessi all’altezza delle proprie aspettative (“avrò bisogno di voi”, “voi siete il cambiamento”, “questo paese ha risorse straordinarie”, “il potere torna al popolo”, cose già sentite). Ma l’espressione da “o mamma e adesso?” che gli si è dipinta sul volto sin dalle prime apparizioni post-scrutinio parrebbe un indizio, salutare, che il primo a non farsi illusioni è lui, dopo averne alimentate così tante.

Ed è bene che di illusioni non se ne facciano governi e istituzioni europee che dopo il voto francese si sentono al sicuro, convinti che, allo stato attuale, per rovesciare un’Angela Merkel (la prossima a passare per il voto popolare) non basteranno una Spd stanca né i litigiosi estremisti di Alternative für Deutschland. Il rifiuto espresso dai voti confluiti su Le Pen non è stato redento dalla sconfitta di domenica. Se lo si somma a quello manifestatosi sotto forma di astensione o di schede bianche, e se ne coglie la dimensione sociale su scala europea, la sua vastità non può che inquietare.

L’illusione da fugare infine è che una eventuale uscita dalla crisi economica possa tagliare le ali agli estremi. Intanto questo ragionamento, di cui Macron è un insigne sostenitore, è viziato dal preconcetto secondo cui l’esistente va bene com’è, purché se ne curi il meccanismo; ed è inoltre un pensiero ormai zoppo: la frammentazione delle nostre società, l’a-sincronia con il corso delle cose nel resto del mondo, e l’intreccio che tuttavia le vincola, hanno già superato il livello che ne consentirebbe una ricomposizione in tempi riconoscibili, mentre gli elementi ideologici e le aberrazioni culturali che se ne sono nutriti prosperano ormai di vita propria. Identitarismo, nazionalismo, sovranismo troveranno altre Le Pen, altre forme a rappresentarli, in Francia e altrove. Macron ha poco tempo per tentare di smontarne le ragioni; quanto alla stoffa, è ancora soltanto una promessa.

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