L'analisi

La deriva dei gaullisti nel naufragio di Fillon

6 marzo 2017
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Dei successori appartenenti al suo movimento, il generale De Gaulle non doveva avere una ferrea fiducia: “Il gaullismo senza di me? Sarà come la grotta di Lourdes senza la statua della Madonna”, rispose sornione in una conferenza stampa. Ormai da tempo gli eredi del fondatore della Quinta Repubblica ondeggiano notevolmente, con conseguente profonda crisi di uno schieramento che via via si è dato denominazioni diverse nella ricerca di una stabile identità. Senza riuscirci. Così, allo stato delle cose, i pretesi eredi del generale rischiano per la prima volta di nemmeno arrivare al secondo turno delle presidenziali. Tutti i sondaggi prevedono che avverrebbe se dalla corsa per l’Eliseo non dovesse ritirarsi François Fillon, quasi plebiscitato nelle primarie a destra, ma protagonista di uno scandalo che fa a pugni con la sua pretesa di probità e moralità di cattolico integrale. La magistratura indaga sugli impieghi fittizi (costati soldi pubblici per quasi un milione di euro) da lui fatti assegnare a moglie e figli. Fillon si difende sguaiatamente, non certo da statista, accusando giudici e giornalisti di ordire un complotto, un putsch politico, non si capisce bene a quale scopo. Qui non è più nemmeno una questione di tenacia e orgoglio. Appare invece come la difesa di un protagonista disperato, abbandonato da gran parte dei leader del suo schieramento, illuso dal sostengo apparente che gli ha tributato la piazza, stritolato dalle proiezioni demoscopiche, e che nella scalata al massimo potere francese vede probabilmente l’unica via di salvezza anche giudiziaria. Nelle prossime ore, nei prossimi giorni, soltanto un ritiro spontaneo o una ribellione dei vertici del partito potranno spianare la strada ad un’altra candidatura della destra tradizionale, quella di Alain Juppé, a sua volta ex premier, colui che Chirac aveva definito “le meilleur d’entre nous”, secondo alle primarie, ma che ora che i sondaggi indicano come il candidato presidenziale in grado di primeggiare sia al primo sia al secondo e decisivo turno contro Marine Le Pen. La quale, per le radicali e inquietanti conseguenze anche sul quadro europeo che avrebbe un’entrata all’Eliseo dell’estrema destra populista e xenofoba, è il nemico comune dei partiti tradizionali fuori e dentro la Francia. Certo, rimangono diverse incognite. L’abbandono o la cacciata di Fillon non sono affatto certi, e non è per nulla scontato un ricompattamento degli elettori di destra sulla candidatura di un Juppé “ripescato” dopo la figuraccia delle primarie. Tuttavia, l’attuale sindaco di Bordeaux (la cui disponibilità era messa in dubbio ieri sera da fonti del suo stesso staff) avrebbe un altro sicuro vantaggio nei confronti dell’indagato Fillon: questi ha presentato un programma di stampo neo-liberista, indigesto agli elettori socialisti a cui si chiederebbe quella “disciplina repubblicana” scattata quindici anni fa, quando Le Pen padre venne sommerso dai voti in favore di Chirac. Un’esclusione della gauche dal duello finale non sarebbe dunque una “prima assoluta” nella storia della Quinta Repubblica. Nell’ aprile 2002 Lionel Jospin venne estromesso a sorpresa già nel primo turno, vittima di astensione e divisioni interne. Oggi l’auto-punizione del bilancio e dell’abbandono di Hollande, l’immancabile rissa fra radicali e socialdemocratici, la divisione insensata fra il candidato ufficiale Hamon e il post-comunista Mélenchon, e lo stesso emergere del centrista Macron ex pupillo di Hollande, dominano su quest’altro campo pieno di rovine.

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