Commento

La cultura umanistica

14 marzo 2015
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C’è una materia che manca troppo spesso nelle nostre scuole e che andrebbe introdotta con più forza: l’economia. Lo sostiene Renato Martinoni, professore di letteratura italiana all’Università di San Gallo.
Con l’economia siamo confrontati ogni giorno, quando leggiamo il giornale o ascoltiamo la radio e guardiamo la televisione; è quindi importante capirci qualcosa, anche perché l’economia “condiziona le vicende del mondo”.
D’accordo, gli ha fatto eco Mauro Baranzini, già decano della facoltà di economia all’Usi, in “Plusvalore” di Rete Due: “Non vorrei però che nelle nostre scuole si insegnasse troppa finanza, troppi termini borsistici… troppo libero mercato e mercati che sgomberano; il tutto infarcito di orrendi termini inglesi”. E aggiunge: più economia senz’altro, ma anche più valori etici e sociali.
Hanno ragione l’uno e l’altro. Un po’ più il secondo.
Confrontiamo questo genere di discorso con quanto sta abbondando ora a livello politico-partitico e di discussione economica. Quale contesto culturale-economico ha formato questa classe che si propone per governarci? Se si segue la sequela di dibattiti e di confronti, non sarebbe difficile rispondere.
(Lasciamo però l’analisi scientifica a Oscar Mazzoleni, dell’Osservatorio politico).
Martinoni sembra dover constatare che ormai abbiamo forgiato l’“homo oeconomicus” che ha sbaragliato gli altri vari “homo”. Dobbiamo digerirlo, dando però a tutti, dalla scuola, la scatola degli attrezzi necessari per avere ancora la possibilità di usare la ragione, di capire, reagire e non diventare succubi di poteri che non sono poi così occulti come si suol dire. Ritrovare insomma l’“homo sapiens” e persino quello “erectus”. Baranzini, invece, demistifica le mode economiche dominanti, ma soprattutto vuol riportare nell’economia l’etica, buttata fuori a pedate perché improduttiva o perché i grandi manovrieri sono convinti di averla incorporata (v. autoregolamentazione).
L’“homo oeconomicus” a tutto campo, che imperversa nei dibattiti, è di fatto una visione impoverita della vita che ha condizionato in tutto l’Occidente sia l’educazione familiare sia le politiche scolastiche: letteratura, arte, poesia, storia, musica classica, lingue antiche non producono profitti e quindi servono a poco. La logica contabile della maggioranza dei politici – ossessionati dalle spese pubbliche, dalla parità dei bilanci, dall’indebitamento, dalla crescita del prodotto interno lordo, dai prelievi fiscali – le vede come il fumo negli occhi, le evita o le massacra.
Al discorso dei due esimi professori bisognerebbe forse aggiungere che è l’abbandono in atto della cultura umanistica (che pensa all’uomo intero) che limita lo sviluppo della sensibilità e delle relazioni umane e quella capacità di pensiero e immaginazione che ci rendono umani.
Senza di questi anche la democrazia non può esistere “perché è costruita sul rispetto e sulla cura, a loro volta costruiti sulla capacità di vedere le altre persone come essere umani e non come oggetti”, come sostiene proprio una studiosa dei sistemi di istruzione (Martha Nussbaum, ‘Non per profitto’, Il Mulino).
C’è da pensarci, nel Ticino di oggi.

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