Commento

La cultura della migrazione

3 gennaio 2017
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Non chiamatelo ‘manager’ (o dirigente). È un appellativo che ama poco. Antonio Simona oggi preferisce vedersi come un «vecchio lupo di mare». Un capitano di una nave che da ormai trent’anni solca il mare della politica d’asilo. Una navigazione a tratti assai difficile e persino agitata, quella affrontata qui, tra la frontiera e il Gottardo, alla porta sud della Svizzera. Se nel tempo la barra del timone è rimasta salda, tiene a far sapere il direttore del Centro di registrazione e procedura per richiedenti l’asilo di Chiasso, è merito soprattutto dei suoi collaboratori. Sono loro, dice, che assicurano il lavoro quotidiano. «Un capo da solo non fa niente», è solito ripetere.
Il fatto è che Antonio Simona non è un capo convenzionale. In questi anni non se ne sono accorti solo i funzionari delle strutture federali a Chiasso. Una sigaretta dietro l’altra («entro la fine dell’anno, però, voglio smettere», si ripromette), la battuta arguta che sa spiazzare, dentro i cancelli della sede amministrativa di via Primo Agosto alle regole non si deroga. Al di fuori, invece, è un «indisciplinato totale», ammette. Giornalista (all’Agenzia telegrafica svizzera) prima di diventare un uomo della Confederazione, il ‘politicamente corretto’, del resto, non è mai stato il suo forte. Potendo scegliere, ci confessa, meglio essere semplicemente corretti. E ciò anche se legislazione e senso di giustizia, capita, non vadano sempre d’accordo. Lo si comprende, a maggior ragione, quando giorno dopo giorno ci si misura con la varia umanità che bussa alla nostra porta in cerca di una vita degna di essere vissuta. E qui, allora, non è più questione di retorica, ma di cuore.
Lo si è visto bene questa estate, con l’accampamento improvvisato cresciuto appena al di là del nostro confine meridionale, nel parco della stazione di Como. Lo si è capito, poi, a fondo quando ci si è ritrovati davanti al fenomeno dei minori non accompagnati, vulnerabili e al contempo decisi ad andare a nord o a ricongiungersi ad amici o parenti. Un fenomeno, prefigura Simona nell’intervista concessa a ‘laRegione’, che rischia di dividere, che ci interpellerà ancora di più nel prossimo futuro e al quale si dovrà prestare grande attenzione. Anche perché a quel punto non basterà gestire i flussi. Aver a che fare con dei minorenni implica il rispetto di norme e convenzioni internazionali alle quali non si può sfuggire; e apre alla necessità di ragionare pure in termini di integrazione. E visto l’aria che tira, sciogliere i nodi della politica non sarà un’operazione tanto semplice.
Ecco che la comunicazione – al confine, con il mondo migrante; nel Paese con l’opinione pubblica – diventerà cruciale. Qui Simona tira le orecchie ai media (da ex giornalista se lo può permettere). Sono i media, tiene a farci notare, che tendono ad amplificare e a esaltare la polarizzazione che si vive davanti alla politica d’asilo (anche se qualche politico, a volte, ha ecceduto, ci lascia intendere). Insomma, oggi più di ieri, urge quella che definisce una «informazione corretta e puntuale»: un dovere del giornalista, un diritto del cittadino. Solo così sarà possibile farsi una idea, quindi comprendere meglio la realtà dei flussi migratori. E pure farci i conti, al di là dei luoghi comuni. Ciò non toglie che ci si dovrà mettere di buzzo buono anche nel costruire una vera e propria educazione alla cultura della migrazione, a cominciare dalle scolaresche. Un passo irrinunciabile quanto inevitabile per Simona. Che piaccia o no. Lui, il direttore del Centro per richiedenti l’asilo di Chiasso, ci sta provando da anni. Ora, con la pensione dietro l’angolo, non resta che augurargli ‘buona navigazione’.

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