Commento

Iperboli ticinesi, ieri come oggi

8 luglio 2017
|

Estromesso dalla scuola, superato da chi lo ha seguito, dimenticato dall’editoria e dalla società civile, di Francesco Chiesa resta più che altro il fantasma, percepibile come può esserlo un monito molesto o una minaccia a chi, in questa regione, si interessi in modo particolare di letteratura. Chiesa è stato il primo strenuo difensore delle ragioni della cultura e della lingua italiana in questa provincia «incolta», come lui la definiva, una sorta di padre delle lettere ticinesi, ben presto trasformato in Vate della Terza Svizzera, ricoperto di onori e di oneri, in virtù anche del patriottismo di gusto nazionalista che sempre più lo ha animato, affinché questa minoranza culturale potesse guardare negli occhi le altre anime del Paese. Dal Chiesa maggiore, classico, intriso di cultura ottocentesca e macchiato da una certa oscura familiarità con il regime fascista, hanno preso le distanze gli autori che hanno offerto il meglio alla letteratura svizzero-italiana. E, nonostante sia sempre raccomandabile preservare memoria delle proprie origini intellettuali, il fatto che Chiesa sia stato poco alla volta dimenticato non è forse da considerare un dramma culturale.

C’è però stato un altro Chiesa, quello degli esordi, lo “scrittore civile” capace di una satira impietosa verso la cultura e i costumi ticinesi, e i personaggi pubblici che più di altri li incarnavano fra Otto e Novecento. È il Chiesa delle ‘Lettere iperboliche’ (ripubblicate dall’editore Dadò), in cui trovò una celeberrima immagine per fotografare l’attitudine più autentica di questo cantone: “Repubblica dell’Iperbole”. Non che questo Chiesa sia uno scrittore migliore, anzi, la sua ironia e le sue punture spesso risultano grevi. Eppure, nella sua tenace palestra critica, incisiva quanto imparziale, Chiesa si rivela come un osservatore lucido, capace di cogliere con acume nell’anima ticinese qualcosa di profondo, di resistente alle stagioni, che in definitiva lo rende ancora attuale. Le sue invettive, lette oggi, non possono non evocare qualcosa di familiare, pur essendo tanto cambiato il contesto culturale, sociale e politico.

Già nella prima lettera, cercando la benevolenza di Apollo, Chiesa scrive che «siamo violenti, iperbolici, oscuri, prolissi, perché da parecchi non si sente e non si ama la bellezza della discrezione, la grazia della pura verità». Le cronache politiche odierne, per quanto non si spari più, non sembrano rivelare che in quanto a rifiuto della violenza e cura della verità si siano fatti passi avanti decisivi. Oppure, in chiusura, si prenda per esempio quando Chiesa lascia dire al fantomatico Avvocato Festinalenti che «governare vuol dire tasteggiar con una mano il popolo e muovere coll’altra gli ordigni dell’amministrazione»: una lezione del tutto attuale. Chiesa punta il dito soprattutto contro avvocati e legulei vari che infestano tribunali e parlamento, campioni della volgarità (vincente) e della manipolazione in funzione di interessi di parte, contro giornalisti di partito ed ecclesiastici, in generale contro l’inclinazione fatale ad incensare in modo rumoroso ciò che si considera proprio e a demonizzare con altrettanta scomposta retorica le presunte minacce. In un contesto, peraltro, in cui «è dogma e fede che tutti siano atti a tutto».

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔