Culture

Il tritolo e l'aria condizionata

Arturo
18 novembre 2017
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Il modo meno doloroso per capire cosa sia la mafia è passare attraverso un film nel quale la denuncia è a base di dolciumi. Nel 2013, “La mafia uccide solo d'estate” è stata l’opera prima di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Un film che per leggerezza ricorda lo stesso amorevole inganno agli occhi di un bambino de “La vita è bella”, testimonianza di quanto il sorriso possa al cospetto della crudeltà.
“La mafia uccide solo d'estate” è la storia del bambino-aspirante giornalista Arturo, che in fasce pronuncia la parola “mafia” prima di “mamma” e in età scolare cerca le parole giuste per dichiararsi a Flora, “la bambina più bella del mondo”, bionda compagna di classe. Non trovando aiuto nel padre, reticente sull’amore, ruba concetti di seduzione a Giulio Andreotti, ospite di un talk show televisivo del 1977. La bimba e il leader della Democrazia Cristiana sono un doppio colpo di fulmine per Arturo: se il legame con Flora rimarrà indissolubile, l'infatuazione per il “Divo” verrà spazzata via dai tragici eventi di quegli anni.

Quello di Pif è a tutti gli effetti un film storico, con i protagonisti delle stragi in primo piano e sullo sfondo, in un misto di ricostruzioni, prodotti di fantasia (ad hoc) e immagini di repertorio con le quali ottimi attori interagiscono con il bene ed il male raccontato. Le vittime sono ritratte con tenerezza – l’intervista impossibile di Arturo a Nando Dalla Chiesa, il commissario Boris Giuliano che illustra i pregi dell'iris, dolce fritto ripieno di ricotta e scaglie di cioccolata con il quale il ragazzino cerca di fare breccia nel cuore dell’innamorata – mentre ai carnefici è riservata l’ironia più spietata: su tutti, un Totò Riina alle prese con un telecomando, in un irresistibile quanto drammatico dualismo aria condizionata-tritolo.

L’opera – David di Donatello al regista esordiente, poi serie tv – è delicata come latte di mandorla, ma calorica ed esplosiva come un arancino di riso ripieno quando diventa denuncia di un paese che non ha saputo, né voluto difendere i propri eroi. Senza il sacrificio degli uomini e delle donne che nel film rivivono intatti come il ricordo, i novanta minuti rispettosi e ben girati di questo film non sarebbero mai esistiti. Gioire perché ce ne sia concessa la visione comporta necessariamente il fare i conti con l’entità di quel sacrificio.
Preso atto che l’unico risarcimento possibile oggi è la memoria, si può apprezzare quanto bello sia il ricordo quando è senza reticenze, e quando – è il caso di questo piccolo gioiello, sempre attuale – è comprensibile anche ai più piccoli. Un film didattico che deve (un auspicio camuffato da imperativo) arrivare alle scuole non solo italiane, perché non è mai troppo tardi per capire.

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