Inchieste

Il Pes – In equilibrio fra ‘atout’ e debolezze

Opere della scuola In Oltre
(Samuel Golay)
30 maggio 2015
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Centrale, nel discorso dell’assistenza riabilitativa, è il ricorso ad uno strumento che in modo concreto segna il percorso di “rimessa in carreggiata”: si tratta del Piano di esecuzione della sanzione (Pes), allestito dopo l’emissione di una condanna e accertate responsabilità e dinamiche che hanno portato a commettere il reato.

L’allestimento del Pes viene curato dall’operatore sociale unitamente alla persona detenuta a partire dalla storia personale e penale e tende ad identificare i fattori di rischio e di protezione, ossia i punti di fragilità e i punti di forza sui quali intervenire grazie alle risorse che il carcere è in grado di offrire: dalla formazione della scuola In-Oltre all’eventualità di una formazione universitaria a distanza, dal variegato “carnet” di laboratori professionali al trattamento terapeutico, fino al sostegno delle relazioni familiari e sociali (ad esempio il diritto-dovere di visita e di incontro con i figli).

Verifica costante degli obiettivi

Si tratta di un documento che viene condiviso con la direzione del carcere, i responsabili di laboratorio, il servizio medico e l’apparato di sicurezza. Ogni anno viene valutata una cinquantina di Pes (4-5 in occasione di ognuna delle riunioni mensili appositamente convocate fra tutte le parti interessate). «La forza insita nel Pes è mettere le basi per una verifica costante e continua degli obiettivi stabiliti all’inizio e periodicamente aggiornati durante l’esperienza detentiva», considera De Martini.

Introdotto a partire dal 2007 con la revisione della parte generale del Codice penale, questo strumento ha la capacità e la forza di posizionare il detenuto “oltre le mura del carcere”, proiettandolo verso il posto che potrà occupare in futuro nella società civile. Questo discorso vale indipendentemente dal fatto che il reinserimento venga effettuato sul territorio nazionale, fuori dalle immediate frontiere svizzere o oltre Oceano. «Un quadro di vita scandito da minuti eterni e da passi che “si devono perdere” in uno spazio sempre uguale a se stesso e ristretto si può trasformare in una scuola per un futuro adeguato e migliore – conclude Luisella De Martini –. Bisogna impegnarsi e crederci tutti».

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