Racconto della settimana

Il misterioso signor Wallace

14 novembre 2015
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Davanti al letto era steso un tappeto rotondo nero come gli abissi. Inspirando profondamente mi ritrassi sulla soglia, scongiurando il pericolo di una rovinosa caduta negli inferi. Wallace non mosse un dito.

–     Una camera intrigante, vero, signor Brooks?

–     Sì, veramente intrigante.

Tornammo sul lato sinistro del corridoio. La targa della terza stanza recava Il pendolo. Aperta la porta, spalancai la bocca e rimasi di stucco, gli occhi sbarrati. Una grossa scure affilata che pendeva a testa in giù dal soffitto oscillava lentamente sopra il letto, con un terrificante movimento perpetuo.

–     Suggestiva, vero? – domandò Wallace.

–     Molto suggestiva – risposi deglutendo con fatica.

La quarta stanza, sulla destra, si chiamava Valdemar. Attraverso la porta si sentiva una profonda voce maschile. Quando Wallace l’aprì, nella camera non si vedeva nessuno. Ma la voce si sentiva ancora, lontana, cupa. Come dall’oltretomba. Parole incomprensibili di una lingua sconosciuta. Mi venne la pelle d’oca.

–     Riesce a comprendere le parole? – mi chiese Wallace.

–     No. Che lingua è? – domandai a mia volta.

–     È una lingua che non esiste. Non le pare evocativa?

–     Sì, molto evocativa.

Ci spostammo dall’altra parte. La targa della quinta camera riportava la dicitura La Morte rossa. Sulla parete dietro al letto era appesa una grande maschera da carnevale veneziano, finemente ornata e con due gemme di brace incastonate nelle aperture degli occhi, che mi fissavano. Rimasi come fulminato. Wallace osservava le mie reazioni.

–     Come vede, sono tutte camere accoglienti.

–     Sì, molto accoglienti – confermai con un nodo in gola.

Sulla targa della sesta stanza, sul lato destro del corridoio, si leggeva Le perle di Berenice. Wallace aprì e sulla parete accanto alla finestra vidi il ritratto di una giovane donna. Il candore dei denti, che si stagliavano sul sano colorito della pelle della ragazza, mi abbagliò.

–     Che effetto le fa il dipinto, signor Brooks? Le pare stimolante?

–     Sì, molto stimolante – risposi cercando di mettere a fuoco la stanza.

Wallace richiuse e mi condusse all’ultima camera, quella in fondo al corridoio. La targa recitava Il gatto nero. Come la porta si dischiuse, scorsi due pupille a feritoia, dalle quali scoccarono due fulmini verdi che mi pietrificarono. Un gatto imbalsamato dal pelo corvino mi fissava dall’alto di una cassettiera in legno scuro.

–     Ecco – disse Wallace – questa è l’ultima stanza. Cosa ne dice? È invitante, vero?

–     Sì, certo, molto invitante – riuscii a rispondere muovendo a fatica la bocca.

Ora le mostro il piano interrato. È lì che dovrà spiegarsi la massima suggestione per i nostri giovani scrittori. Mi segua, signor Brooks, e mi stia vicino nei cunicoli.

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