L'analisi

Il ‘cupo umore’ del dopo Brexit

19 giugno 2017
|

Di «cupo umore della nazione» parla la regina Elisabetta per descrivere lo stato d’animo del suo regno. Colpito da una serie di eventi luttuosi. Ma soprattutto da una frattura politico-sociale-territoriale senza precedenti. In cui anche le tragedie del terrorismo e lo spaventoso rogo della Grenfell Tower (‘la torre dei poveri nel quartiere dei ricchi’) si trasformano in atto di accusa verso una società in cui anni, se non decenni, di progressivo scollamento e di accresciute disuguaglianze mettono a dura prova la tenuta di un Paese e di un modello che fu fin troppo invidiato.

Come se la Gran Bretagna subisse improvvisamente una sorta di maledizione. Oltretutto nel momento di estrema fragilità della sua leadership. Theresa May rischia infatti di diventare il simbolo di un 2017 che, ricorrendo a un’altra definizione della monarca pronunciata un quarto di secolo fa, potrebbe trasformarsi in ‘annus horribilis’. Pensando di essere quello che non è, cioè una sorta di nuova Thatcher, e di vivere in un tempo che non è più quello che venne sfruttato dalla ‘lady di ferro’, la premier britannica ha infatti promosso una serie di forzature che l’hanno ancor più fragilizzata.

Era favorevole alla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea e si è cinicamente riciclata in prima portabandiera dello strappo nei confronti dell’Ue; aveva proclamato di non volere elezioni anticipate e in pochi mesi ha fatto l’esatto contrario; era convinta di stravincere e ha perso anche la maggioranza parlamentare ereditata dal suo parimenti incosciente predecessore; riteneva che le ricette dei tagli alla spesa pubblica praticati a lungo dal partito conservatore fossero ormai digeriti dall’opinione pubblica e ha dovuto scoprire che proprio le disuguaglianze sociali ne hanno decretato l’umiliazione. Così Theresa May si ritrova impantanata in una palude che rischia di sommergerla, e che comunque paralizza l’intero Paese. «Io vi ho messo in questo pasticcio – ha detto ai rabbiosi deputati Tory, col piglio di chi ritiene che il puro decisionismo sia strumento salvifico –, e sarò io a tirarvene fuori».

Tenta di farlo, la May, con una mossa che equivale a un altro errore politico. Per rimpolpare le fila del suo governo, si allea infatti col partito unionista Dup, quei protestanti dell’Irlanda del Nord che potrebbero portarle più problemi che benefici e stabilità. Il Dup – ammonisce il ‘Guardian’ – non è un partito qualsiasi. Ha alle sue spalle un passato di violenza; puntare su di esso significa compromettere il delicatissimo equilibrio su cui regge la tregua a Belfast dopo gli anni del furore; contemporaneamente, alimenta l’allarme della parte cattolica dell’Ulster e al sud del governo di Dublino, che nell’Europa vedono invece una preziosa tutela che verrà meno con l’inevitabile chiusura delle frontiere che torneranno a dividere l’isola della discordia. Una decisione a tal punto rischiosa da indurre persino il taciturno ex premier conservatore John Major a lanciare un anatema contro un’alleanza così destabilizzante.

In più, la Brexit. La premier fautrice della linea ‘hard’, deve ora negoziare da una posizione di debolezza, a fronte di un’Ue che proprio sullo strappo britannico ha ritrovato compattezza e sembra non voler fare sconti. Sono numerosi i miliardi reclamati da Bruxelles per la sola fuoriuscita dall’Unione europea, mentre già calano gli investimenti, perde quota la sterlina e cresce l’inflazione. Ben altra guida ci vorrebbe che non un leader divisivo e di scarsa empatia.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔