Commento

Il Bill Gates locale ancora non c’è

16 novembre 2017
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In un cantone dove per decenni il mantra collettivo è stato il posto fisso e sicuro in banca, nello Stato o nel parastato, poche mosche bianche rischiavano di mettersi in proprio. I tempi sono cambiati, ma in Ticino non si respira ancora davvero una cultura imprenditoriale, anzi spesso sono proprio i genitori a spingere i figli verso diplomi considerati (spesso a torto!) sicuri.

Ora lo sappiamo, tutto cambia velocemente: chi ha iniziato a studiare economia anni fa, oggi si ritrova un panorama completamente cambiato, il sistema bancario è a dieta (vedi pag. 9).

L’incertezza è generale, diffusa e riguarda vari settori. Ed è proprio questa nuova fame di impiego che sta facendo germogliare un timido spirito imprenditoriale in Ticino. C’è chi tenta di creare qualcosa dal nulla, di inventarsi un lavoro. “Spesso come ripiego, non come scelta”, commenta il prof. Siegfried Alberton del Dipartimento di economia aziendale, sanità e sociale della Supsi.

È un primo passo e le idee non mancano come raccontiamo alle pagine 2 e 3.
Infatti negli uffici del Centro promozione Start-up (Usi/Supsi) a Lugano arrivano ogni settimana nuovi progetti.

Va poi detto che gli aiuti statali sono numerosi e assai articolati sia per chi vuole mettersi in proprio (anche se aumentano i fallimenti in Ticino: già 124 imprese costrette a chiudere nei primi 4 mesi del 2017) sia per chi vuole trasformare un’idea innovativa in un’azienda.

Si investono parecchi soldi ed energie. Inoltre, se la riforma cantonale fiscale sarà accettata ci saranno anche sgravi fiscali per chi investe nel capitale di rischio di aziende innovative.

Insomma, lo Stato sta seminando parecchio per far crescere aziende innovative con un impatto internazionale e per tenerle qui.

Questo è un bene perché la realtà industriale sta cambiando velocemente e stare fermi significa affondare. I risultati? Fino ad ora, tante belle idee, ma nessun Bill Gates in salsa ticinese.

Ma non dobbiamo essere precipitosi. Quando si semina, ci vuole pazienza e tenacia, ma anche tanta attenzione per non trasformare la ricerca di idee innovative in un macchinoso e costoso business delle start-up, che alimenta soprattutto chi ci gravita, senza troppe ricadute sul territorio.

Chi oggi cerca di trasformare la sua idea innovativa in azienda è contento degli aiuti statali, che siano consulenze specializzate o altro, ma per tutti il vero scoglio è e rimane il capitale finanziario per avviare l’attività. È così malgrado si parli di forme alternative al classico finanziamento bancario, come ‘business angel’, ‘venture capital’ e ‘private equity’.

Chi investe in un’attività non è un giocatore di azzardo, lo fa se ha una ragionevole possibilità di guadagno nel giro di un anno. Di regola poi, le banche investono soprattutto nella crescita di aziende già consolidate. Inoltre il Ticino – nonostante ottime eccezioni come Irb o l’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale – rimane una piccola realtà che non vanta il substrato accademico di Zurigo, dove c’è un Politecnico federale che primeggia nelle graduatorie internazionali e attira parecchi fondi per la ricerca.

Chi non ha troppi fondi ma una buona idea deve dunque accettare di condividerla con un centro di ricerca o consulenti specializzati e sperare così di realizzarla. Ma è un messaggio che a volte fatica a passare, c’è il timore di venire ‘gabbati’. E così l’idea rischia di rimanere nel cassetto per paura di essere copiati.

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