L'analisi

Gli uragani dell’era Trump

11 settembre 2017
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Prima, amara ironia: il presidente americano più preoccupato di sradicare il “problema” di immigrati e profughi, per diversi giorni o forse per qualche settimana si ritroverà col record di “rifugiati climatici” in casa propria. Milioni di cittadini in fuga da Irma, la madre di tutti quei tifoni che, soprattutto negli ultimi tempi, hanno squarciato l’Est degli Stati Uniti, e ancor più lutti e distruzioni provocano nei Paesi asiatici.

Secondo paradosso: i miliardi di metri cubi di pioggia (nel solo Texas, alla fine di agosto, Harvey ne ha rovesciati 64, l’equivalente di 26 milioni di piscine olimpioniche) rilanciano drammaticamente il dibattito sul problema dei cambiamenti climatici provocati dalle attività umane, mutamenti che il capo della Casa Bianca considera una colossale truffa concepita da scienziati incompetenti e dalla… Cina.

Naturalmente, tra l’assalto di Irma e la politica di Trump non esiste un legame. In questo periodo dell’anno nel Golfo del Messico ci sono sempre state tempeste e inondazioni. Ma, sottolinea per esempio il ‘Guardian’ citando una serie impressionante di dati, dall’innalzamento dei mari di venti centimetri alla cosiddetta “sedentarietà delle tempeste”, il devastante record degli ultimi giorni “difficilmente durerà a lungo, visto che le emissioni di anidride carbonica provocate dagli esseri umani stanno spingendo il clima in un territorio sconosciuto, e comunque gli eventi meteorologici estremi di questo tipo diventeranno sempre più frequenti e devastanti”.

Non solo i fatti incontrovertibili, ma anche il principio di cautela preventiva suggerirebbero dunque atteggiamenti più responsabili a chi guida il Paese industrializzato più esposto a queste calamità, e al relativo esorbitante prezzo. Con il suo linguaggio fastidiosamente enfatico, Trump ha parlato dell’uragano “più epico e costoso” nella storia degli Stati Uniti. Vedremo a quanto ammonterà la fattura di Harvey e Irma, pesando oltretutto su una popolazione che in gran parte non beneficia di polizze assicurative per questo tipo di sciagure. Ma conosciamo la progressione dei costi dei tre uragani eccezionali che hanno colpito le coste americane del Nord Atlantico in meno di un decennio: 108 miliardi Katrina, 75 Sandy, 37 Ike. Per ora, l’unico dato certo è che in Texas 60mila persone perderanno il posto di lavoro.

Invece, nel nome di una scriteriata deregulation, il 4 agosto Trump ha ufficializzato l’uscita dall’accordo di Parigi sul clima; il 15 ha cancellato i provvedimenti di Obama per regolamentare l’edificazione nelle zone inondabili, progettando nel contempo la fine degli interventi federali per le zone devastate, la riduzione dei fondi all’Agenzia delle catastrofi naturali, e tagli ai servizi meteo che consentono di prevederle. Del resto che attendersi dal presidente che esalta “il pulito, magnifico carbone”, e si è attorniato di crociati antiecologisti? E che come vice ha quel Mike Pence che, da governatore dell’Indiana, per negare i sussidi statali, così si esprimeva: “Il Congresso non può permettere che una catastrofe naturale si trasformi in una catastrofe di debiti per i nostri figli e nipoti”.

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