Commento

Giustizia, ancora rumore di forbici

14 gennaio 2017
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Quello di Michele Foletti è un formidabile assist, o potrebbe rivelarsi tale, a chi invoca ulteriori tagli nello Stato: vedi la recente richiesta al governo, avanzata da Lega, Ppd e Plr, di elaborare una manovra di rientro bis, stavolta da venti milioni di franchi. “A mio parere il procuratore pubblico Nicola Corti (dimissionario, ndr) non va sostituito: anche il settore della Giustizia va razionalizzato”, ha dichiarato il deputato leghista intervenendo l’altra sera al Comitato cantonale liberale radicale dove si è pure dibattuto dei tre referendum promossi dalla sinistra su cui i cittadini si pronunceranno il 12 febbraio, incluso quello che si oppone alla riduzione, già decisa dal Gran Consiglio, da quattro a tre del numero dei giudici dei provvedimenti coercitivi.
Come leggere le parole di Foletti, esponente di primo piano e di lungo corso del movimento? Un’uscita estemporanea, la sua, oppure una proposta indirizzata al proprio gruppo parlamentare e a uno dei due consiglieri di Stato della Lega, e meglio a Norman Gobbi, ministro della giustizia, affinché la formalizzino nero su bianco? Sta di fatto che la mannaia rischia di abbattersi nuovamente su uno dei poteri dello Stato, il potere giudiziario, sempre più sollecitato, su tutti i fronti: penale, civile e amministrativo. Come sostiene il presidente del Consiglio della magistratura (cfr. pagina 3), un cantone di frontiera e sede di una piazza finanziaria non può permettersi, soprattutto oggi, di rinunciare anche a un solo procuratore. Le inchieste si allungherebbero: “Un invito a nozze per chi delinque”, avverte il giudice Werner Walser. Se poi ragioniamo in termini meramente finanziari, l’incidenza dello stipendio di un magistrato su manovre di rientro milionarie è praticamente irrilevante. Ma alla ‘causa risparmista’ tutto può servire. Anche se a farne le spese è la qualità di un servizio pubblico.
Sia chiaro, nulla è ancora stato stabilito riguardo alla sostituzione di Corti, intanto però l’esternazione di Foletti ha innescato la discussione. Ad appesantire il clima ha senz’altro contribuito la lettera recapitata qualche giorno prima di Natale al Gran Consiglio, autorità di nomina delle toghe, con la quale Corti annuncia l’uscita dal Palazzo di giustizia, dove in quota Ps è entrato sei anni fa. Una missiva, di cui il procuratore generale è venuto a conoscenza giovedì dai media, dai toni duri, a tratti confusa, che insinua dubbi su indipendenza e autonomia della magistratura. Condivisibile allora la richiesta che il capogruppo dei popolari democratici Fiorenzo Dadò intende fare all’Ufficio presidenziale del parlamento: quella di convocare il pp Corti. Il ‘j’accuse’ del procuratore dimissionario impone chiarezza. In tempi brevi.
Servono infatti punti fermi. L’allestimento del progetto di riforma ‘Giustizia 2018’ – voluto da Gobbi per “modernizzare” il sistema giudiziario ticinese, rendendolo “più efficace ed efficiente” e che si prefigge pure di riorganizzare il Ministero pubblico – a quale stadio si trova? Così come dovrebbe darsi una mossa, uscendo finalmente con indicazioni concrete, la commissione designata dal Gran Consiglio al proprio interno nell’estate del 2015, e attualmente coordinata da Sabrina Aldi (Lega), perché suggerisca una procedura di elezione dei magistrati in grado di assicurare alla Giustizia i profili migliori. E sarebbe anche ora di dar vita a una commissione parlamentare della giustizia: una commissione ad hoc, che funga da costante e competente interlocutrice della magistratura per questioni organizzative e modifiche legislative. In assenza di questi e altri punti fermi, le misure di risparmio concernenti il Palazzo di giustizia continueranno a essere frutto di improvvisazione.

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