Svizzera

Frustati... per nulla

26 novembre 2015
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Luigi Roncoroni, 73 anni, messo in istituto a Fischingen, racconta delle frustate per un letto non fatto bene, del tentato abuso nell’orto, dei cani sguinzagliati dietro ai ragazzi... Rimasto orfano a 9 anni, viene cresciuto dai fratelli a Losone, finché il prete e un’operatrice di Pro Infirmis lo inviano al collegio. Come lui, migliaia di vittime, collocate a forza, chiedono giustizia. In Ticino emergono i primi casi.

Decine di migliaia di bimbi privati dei genitori, piazzati a forza dallo Stato in istituti dove spesso subivano violenze. La loro colpa era essere figli di madri sole, povere, vedove, ribelli o di una cultura che non era quella dominante. A decidere non era un tribunale, ma un notabile del paese, un prete, un istitutore. Questo avveniva in Svizzera fino al 1981, Ticino compreso, come dimostrano le storie pubblicate da questo giornale: Sergio Devecchi, 66 anni, figlio illegittimo nato a Lugano ha raccontato le violenze negli istituti (tra Lugano e Pollegio): «Quando denunciavo gli abusi mi prendevo una sberla». Oggi, si chiede perché il parroco e le autorità di Lugano l’abbiano strappato a sua madre: lui che una madre l’aveva. Elisabetta M., 70 anni, ha ricordato quando da adolescente è stata sterilizzata in un istituto a Bombinasco: la sua colpa era avere un padre nomade della Valle Onsernone. Era opinione diffusa che i nomadi non fossero in grado di educare i figli, che venivano tolti alle madri: l’80% finì in istituti e riformatori, pochi studiarono, perché considerati (a torto) portatori di tare genetiche. «Non si può saltare una pagina così buia della nostra storia, è doveroso spiegare ai giovani cosa è successo anche in Ticino», dice. Anche la storia di Luigi Roncoroni aiuta a capire quegli anni. Rimane orfano di madre a 5 anni; suo padre, che ha una ditta edile, muore quattro anni dopo. I fratelli maggiori, si occupano di lui. «Ero vivace, ma non ho mai creato problemi». Dopo qualche anno, il prete e un’operatrice di Pro Infirmis di Losone, fanno pressioni per mandarlo al collegio St. Iddazell a Fischingen (Turgovia). L’undicenne si ritrova su un treno per la Svizzera tedesca. Era il 1952: «Non sapevo il tedesco e quell’istituto era peggio di un Gulag. Eravamo in 250. Venivamo picchiati con una frusta in ciliego per ogni errore, come, ad esempio, non rifare bene il letto. Si viveva nel terrore», ricorda. Alcuni erano costretti a inginocchiarsi per ore, altri venivano rasati: «Ricordo un ragazzo che era fuggito, il direttore gli sguinzagliò dietro il suo cane lupo, che lo azzannò alla gamba destra. Lo distesero in corridoio. Ci fecero sfilare tutti. Il direttore voleva mostrarci cosa succedeva a chi tentava la fuga. Guardai la ferita sanguinante, gli avevano anche rasato al testa». Schivare le punizioni non era l’unico problema in quella giungla. «Un giorno nell’orto, si avvicinò il prete ungherese (faceva il giardiniere) mi blocco le mani, voleva violentarmi. Ero agile, scappai e raccontai tutto al direttore: mi fece firmare un foglio, dove c’era scritto che la mia denuncia era falsa. Presi tre rigate sulle mani». Dopo scuola, si lavorava nei campi per i contadini, Roncoroni porta ancora oggi il segno di una forcata sulla gamba. Mentre riannoda i ricordi di quell’inferno, ci mostra le foto, le lettere dei suoi fratelli (ignari di quei maltrattamenti) all’istituto e viceversa. «Se avevo lividi di frustate mi vietavano di rientrare in Ticino per le vacanze, si inventavano una scusa e rimanevo al collegio finché ero guarito. Cestinavano le lettere, dove raccontavo ai miei fratelli che cosa succedeva». Ha tenuto tutto, per non dimenticare: i cedolini da 100 franchi della retta mensile, tutte le fatture, scorriamo una lista, ci sono 14 franchi per la riparazione delle scarpe: «Che nessuno ha mai riparato». È rimasto quasi due anni nell’istituto con altri due ticinesi. Per Pasqua tornò a casa, suo fratello vide le cicatrici sulla schiena e lo tenne in Ticino, dove studiò e aprì uno studio di architettura. A maggio 2014, l’Associazione monastero di Fischingen ha chiesto scusa per le ingiustizie avvenute fino agli anni 70 tra le mura dell’istituto, che ha ospitato Luigi e altri 6’500 ragazzi. Dopo la denuncia nel 2010 di ex convittori sono emerse violenze quotidiane commesse da maestri, frati, suore, giardinieri e un direttore. Nelle 170 pagine del rapporto, si legge di personale impreparato e punizioni per chi denunciava gli abusi.

 

La politica

In due mesi a Berna 60 richieste di risarcimento

Infanzie rubate e in Ticino siamo solo all’inizio di una ricostruzione storica, doverosa verso chi oggi soffre ancora. Per anni sono stati chiusi gli occhi davanti alle denunce di pochi, che volevano infrangere un glaciale muro di silenzio. Ma ora sono centinaia i sopravvissuti che raccontano le stesse atrocità: adozioni forzate per decisione delle autorità amministrative, senza un processo. Mamme sole o genitori accusati di ‘oziosità’, di ‘condotta dissoluta’... separati a forza dai figli, che venivano piazzati in istituti o famiglie. Per alcuni si aprivano così le porte ad abusi, maltrattamenti... Centocinquanta libri scritti dalle vittime; il regista Imboden ha preso ispirazione per il film svizzero di maggiore successo degli ultimi anni ‘Der Verdingbub’; una mostra (www.enfances-volees.ch) con 300 racconti. Mamma Helvetia sta riscrivendo un capitolo doloroso della sua storia: un anno fa le scuse ufficiali del governo, il parlamento riabilita, con una legge, le persone internate sulla base di decisioni amministrative. A giugno 2013 viene istituita una tavola rotonda, saranno risarcite le 20mila vittime ancora viventi.  Sono già arrivate una sessantina di richieste al fondo immediato alle vittime di misure coercitive e collocamenti extrafamiliari fino al 1981, istituito due mesi fa dal delegato per le vittime di misure coercitive Luzius Mader e la Catena della solidarietà. Si tratta di 8 milioni (di cui 5 coperti dai Cantoni) alimentati a titolo volontario da Comuni, privati, Città, istituti. «Vanno alle vittime che sono in condizioni precarie», spiega Mader, cui vanno inviate le richieste (www.fuersorgerischezwangsmasnahmen.ch, 031 322 42 84) sino a fine luglio. Saranno versamenti unici: dai 4mila ai 12mila franchi. Sarà risarcito chi ha subito maltrattamenti, abusi, sterilizzazioni coatte, adozioni forzate e oggi si trova nel bisogno. «Non chiediamo prove in senso giuridico, non è un’indennità, ma piuttosto una forma di solidarietà collettiva», conclude.

ALLEGATI
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