Mendrisiotto

Delitto via Odescalchi: 'una vera e propria esecuzione'

5 ottobre 2017
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Per l’accusa assassinio, non omicidio intenzionale come pronunciato in prima istanza dalla Corte di Assise criminali. E pene esemplari, pesanti; più pesanti ancora rispetto a quelle inflitte dal giudice Mauro Ermani. Lo dirà il tempo, se la decisione di adire l’Appello dei 4 giovani imputati per il delitto di via Odescalchi a Chiasso sia stata lungimirante. Dai contorni della vicenda tracciati ieri in aula dalla procuratrice pubblica Pamela Pedretti potrebbe anche darsi di no.

La magistrata ha infatti riproposto in toto, con grande eloquenza, i temi già sollevati nel primo dibattimento, ribadendo l’assurdità del delitto, la mancanza di un movente che avesse anche solo una parvenza di logica, nonché l’assoluta mancanza di scrupoli dimostrata dall’autore materiale dell’omicidio o assassinio (il 27enne svizzero-kosovaro condannato in prima istanza a 14 anni di detenzione per omicidio intenzionale per dolo diretto) e dai suoi compari: il 27enne ucraino condannato a 10 anni, il 27enne italobrasiliano cui erano stati inflitti 8 anni e il 30enne kosovaro che di anni se n’era presi 7.

Ma vale la pena ricordarli, gli antefatti: una sera d’ottobre di due anni fa il gruppo di amici, noti come “i kosovari”, bisticcia in una discoteca di Grancia con il rivale “gruppo degli albanesi” per l’occupazione di un posto a sedere. Viene preso a sberle un giovane degli “albanesi”, amico di un 34enne portoghese (peraltro assente dalla discoteca) che è a sua volta amico del già citato 27enne svizzero-kosovaro. Nei giorni seguenti il 34enne avverte il 27enne che lui e i suoi amici hanno commesso una grossa sciocchezza che potrebbe costare loro molto caro, visto che gli “albanesi” non perdonano.

Da quell’avvertimento amichevole nasce una situazione che va gradualmente fuori controllo e che porterà il 34enne a sentirsi minacciato (lui e la famiglia) dall’ex amico svizzero-kosovaro. In questo contesto si sviluppa la faida fra i due gruppi, ma a venire ucciso a sangue freddo, in via Odescalchi, la sera dell’8 ottobre 2015, sarà proprio il 34enne, colpevole in definitiva di essersi immischiato in una faccenda non sua.

Chi sparò per primo?

L’uccisione si consuma in pochi attimi, in mezzo alla strada. E le versioni divergono. Per gli imputati, giunti sul posto armati con una pistola e un manganello, il primo a sparare fu il 34enne, quindi la reazione dei “kosovari” – tradotta in due colpi d’arma da fuoco esplosi a distanza ravvicinata – fu “soltanto” legittima difesa. Per gli inquirenti, invece,

il 34enne non sparò affatto, ma nell’atto di estrarre la pistola che in effetti aveva con sé venne colpito con due manganellate (dall’italo-brasiliano), cercò di fuggire e una volta a terra venne freddato, lasciando una moglie e un figlio dal secondo matrimonio (ben rappresentati in aula dall’avvocato Alessia Minotti) e un figlio dal primo (tutelato da Matteo Quadranti). Pedretti, parlando di «una vera e propria esecuzione», ha dunque chiesto per tutti una condanna per assassinio (per dolo diretto nel caso dell’autore materiale e per dolo eventuale per gli altri), proponendo delle subordinate nel caso in cui la Corte presieduta dalla giudice Giovanna Roggero Will decidesse di confermare il reato di omicidio: 20 anni (17 anni) per il 27enne svizzero-kosovaro, 17 anni (12) per l’italo-brasiliano, 18 anni e 6 mesi (14) per l’ucraino e 9 anni e 6 mesi (9) per il kosovaro. Stamattina parola alle difese.

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