Estero

Delitto di Yara, dai giudici d'appello nessuna attenuante per Bossetti

16 ottobre 2017
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"L’inaudita gravità del fatto", commesso "vigliaccamente" ai danni di "una ragazzina debole e indifesa, aggredita per motivi sicuramente spregevoli"; la "notevole intensità" del dolo, la "condotta contemporanea e susseguente al reato" fanno sì che Massimo Bossetti debba essere condannato all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio e che al muratore non debbano nemmeno essere concesse le attenuanti generiche. I giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia, presieduti da Enrico Fischetti, usano parole di una durezza inusitata per confermare la sentenza emessa dai loro colleghi bergamaschi che avevano deciso il carcere a vita per Bossetti che continua a proclamarsi innocente e i cui difensori, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, ricorreranno in Cassazione.

Le finalità dell’aggressione di Yara, che sparì dalla palestra di Brembate di Sopra il 26 novembre del 2010, a poca distanza da casa, per essere poi ritrovata morta tre mesi dopo in un campo di Cignolo d’Isola, furono "dai contorni sessuali" secondo i giudici perché Yara respinse le sue avances. Lo dimostrano la dinamica dell’omicidio, il fatto che Bossetti si aggirò con il proprio autocarro "in attesa di qualcuno" nei pressi della palestra, mentre dalle analisi dei suoi computer si deduce "un insistente e perdurante interesse" per "adolescenti in età puberale"; perché, infine, anche il contenuto delle lettere con la detenuta Gina, nel carcere di Bergamo "dimostrano come Bossetti avesse pulsioni sessuali così intense da manifestarle a una persona mai vista prima né contattata personalmente". Al di là di questo, per la Corte "non solo l’imputato è raggiunto dalla prova generica granitica" del Dna "diretta in quanto rappresentativa direttamente del fatto da provare, collocandolo sul luogo dell’omicidio" – una "firma" dell’assassino – ma anche "da una serie di elementi indiretti che uniti consentono di giungere a una sicura affermazione di responsabilità". Prova del Dna valida perché "non sono stati violati i principi del contraddittorio e delle ragioni difensive" e "si deve ribadire quindi ancora una volta e con chiarezza che un’eventuale perizia, chiesta a gran voce dalla difesa e dall’imputato, consentirebbe un mero controllo tecnico sul materiale documentale e sull’operato del Ris", perché "non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni".

Se i giudici non lesinano critiche all’atteggiamento processuale di Bossetti, non meno stigmatizzano la tentata spettacolarizzazione del dibattimento che, "oltre a svolgersi nelle aule di giustizia si è svolto parallelamente sui media, alimentandosi di notizie vere e false, senza peraltro in alcun modo influenzare la regolarità e serenità del processo giudiziario". Un passaggio delle motivazioni è stato dedicato all’immagine satellitare del 24 gennaio 2011 che i difensori hanno cercato di fare entrare nel processo per mettere in dubbio che la tredicenne fosse stata uccisa nel campo dove fu trovato il corpo. Per i giudici, in quell’immagine "non si distingue assolutamente nulla" e anche l’ingrandimento al computer la rende sgranata "rendendola indecifrabile".

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