La gioventù dibatte

Cooperazione contro la fame nel mondo?

28 novembre 2015
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Il dibattito sul tema “La cooperazione internazionale allo sviluppo serve a risolvere il problema della fame nel mondo?” si è svolto a Milano nell’ambito del Concorso “EXPOni le tue idee” al quale hanno partecipato anche i licei di Lugano. Malgrado la crescita economica e l’impegno degli Stati, nel 2015, ben 795 milioni di persone soffrono ancora la fame (fonte Fao). La meta finale è ancora lontana. È possibile affermare che gli aiuti e la cooperazione internazionale allo sviluppo siano parte della soluzione del problema? Al tema hanno dato risposta le due squadre, ciascuna formata da tre oratori e da tre “uditori critici”.

 

FAVOREVOLI: “Le mucche lilla”, Istituto Dalla Chiesa, Montefiascone, Viterbo

Circa 25 anni fa un miliardo e mezzo di persone, cioè il 25% della popolazione mondiale, erano considerate povere, cioè vivevano con appena un dollaro al giorno. Erano ben 4,6 miliardi le persone che vivevano con meno di 2,5 dollari al giorno; tutte concentrate nel Sud del mondo (India, Africa, America Latina e parte dell’America Centrale). Lo scorso 27 maggio, il Sofi 2015 (stato d’insicurezza alimentare nel mondo) ha affermato che il numero complessivo delle persone che soffrono la fame nel mondo è sceso a 795 milioni. Nei Paesi in via di sviluppo la percentuale di persone che non sono in grado di consumare cibo sufficiente per una vita sana è scesa al 12,9% della popolazione, un calo del 23,3% rispetto a un quarto di secolo fa. 72 dei 129 dei Paesi monitorati dalla Fao hanno raggiunto l’Obiettivo del Millennio di dimezzare la prevalenza della denutrizione entro il 2015. Pensate che questi dati siano migliorati con un miracolo? O che questi Paesi si stiano rialzando dalla miseria da soli? Beh, vi sbagliate. Tutto ciò è frutto della Cooperazione internazionale. Dobbiamo essere la generazione Fame Zero. Questo obiettivo dovrebbe essere integrato in tutti gli interventi politici. Per noi la Cooperazione internazionale è fondamentale per risollevare la situazione mondiale di denutrizione. Come affermato dall’Abbé Pierre “la solidarietà è agire contro le ingiustizie” e la fame nel mondo è un’ingiustizia! Anche l’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani riconosce ad ogni individuo il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia “con particolare riguardo all’alimentazione”. La lotta alla fame e alla povertà è oggi portata avanti dalla Cooperazione Internazionale con altre organizzazioni internazionali come l’Oms e con la società civile, in particolare le Ong. Questa lotta è efficace perché a differenza degli investimenti dei singoli Stati che assumono la forma di un neocolonialismo evidente, gli aiuti della Cooperazione Internazionale vengono da 192 Paesi del mondo che collaborano e investono le stesse risorse per gli stessi obiettivi e sono fondati su equilibri che permettono il reciproco controllo, in grado di impedire l’interesse privato di ogni Stato. Cooperazione internazionale significa cogliere l’opportunità di fare qualcosa e lottare contro la mancanza di solidarietà della nostra società sempre più individualista ed egoista. È ora che si metta in pratica la giustizia, non solo legale, ma anche quella distributiva. C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, lo spreco e il consumo eccessivo sono davanti ai nostri occhi. Il Wfp, l’agenzia della Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare, lotta contro la fame, ponendosi programmi quali: 1) pasti a più di 20 milioni di studenti, incoraggiando così le famiglie a mandare i propri figli a scuola; 2) “cibo in cambio di lavoro” utile allo sviluppo della comunità; 3) “cibo in cambio di formazione”, favorendo l’apprendimento di mestieri quali l’apicoltura e il cucito. Per chiudere vi parliamo di Ukufinyele, un bambino dello Zambia (un caso presente nell’archivio Fao). Quando aveva 3 anni pesava solo 7,7 kg. Ora ha 6 anni e pesa 21 kg. È un bambino sano e felice. Ukufinyele deve tutto alla Cooperazione internazionale, è un esempio fra molti per capire quanto un aiuto, da parte dei Paesi che se lo possono permettere, sia utile a chi è denutrito. In un Paese come lo Zambia, impossibilitato a produrre a sufficienza beni primari, quali i cereali, per le difficoltà dovute alla conformazione geografica, pensate davvero che senza l’aiuto finanziario le condizioni di vita migliorino? Noi no! Sapete cosa significa Ukufinyele in africano? Significa “tendere la mano”. Allora tendiamola questa mano e aiutiamo!

 

CONTRARI: “Gli ex_polli”, Liceo Paolo Sarpi, Bergamo

La dipendenza dalle donazioni estere rende il settore agricolo vulnerabile ai cambiamenti nelle priorità e nelle strategie dei donatori e ciò mina la capacità di sviluppo produttivo dei singoli Paesi. I miliardi di dollari mossi ogni anno dalla Cooperazione internazionale sono poca cosa rispetto agli investimenti for profit nelle economie dei Paesi in via di sviluppo che creano lavoro e crescita economica utile a sconfiggere la povertà e quindi la fame. Quindi, per queste ragioni, secondo noi, la Cooperazione internazionale non serve a risolvere realmente il problema della fame nel mondo. Prima di tutto vorremmo indurvi a riflettere sul significato di cooperazione: cooperare significa collaborare, dando ciascuno del proprio, per raggiungere lo stesso obiettivo. Vi sembra questa una definizione appropriata per descrivere la Cooperazione internazionale? Definire tale fenomeno in questo modo sarebbe assurdo come dire che facendo l’elemosina si stia collaborando col mendicante. Mi spiego meglio: le cooperazioni hanno sì un nobile fine, ma finiscono col diventare una scusa per tutti noi per sentirci a posto con la nostra coscienza, dal momento che pensiamo che attraverso il loro agire tutti noi stiamo facendo del bene. Ma è davvero così? Possono bastare le sole cooperazioni per farci sentire delle brave persone? Ma soprattutto: possono bastare le sole cooperazioni a risolvere il problema della fame nel mondo? Voi potete anche dire che i dati recenti dicano che questo si stia verificando, ma non potete negare che l’effetto delle cooperazioni su un problema di così grande portata come la fame nel mondo sia effimero e temporaneo, come quando, impressionati da immagini di bambini denutriti, siamo spinti sul momento a donare per non sentirci dei mostri. Lo stesso ragionamento vale per le cooperazioni internazionali. A questo punto vi chiederete: come aiutarli? Noi crediamo che la strada da seguire sia quella degli investimenti for profit, che è sicuramente piena di insidie e rischi, ma è sicuramente più lungimirante di quella tracciata dalle cooperazioni. Inoltre non si può negare neanche il fatto che rendere uno Stato dipendente dalle donazioni estere potrebbe rivelarsi molto pericoloso, dal momento che ciò minerebbe molto l’autonomia politica ed economica dei Paesi poveri, in pieno contrasto col principio di auto-determinazione che sancisce il diritto di auto-governarsi e auto-regolarsi, per non parlare del fatto che se queste donazioni dovessero diminuire o addirittura azzerarsi, i Paesi dipendenti sprofonderebbero di nuovo nella povertà. Noi sosteniamo che la strada per un futuro migliore è quella che si impegna a non ripetere gli errori del passato, in questo caso i fenomeni di colonizzazione, ma ad imparare da essi. Nessuno di noi sta dicendo che la Cooperazione internazionale per risolvere la fame nel mondo sia una cosa negativa. Anche le briciole nutrono. Stiamo dicendo che la cooperazione non è la strada che dobbiamo perseguire. Scrivendo trattati, firmando accordi non si risolve nulla se tali propositi non vengono concretizzati! Volete un esempio? Nel 2000 la Fao aveva sottoscritto un patto secondo cui “attraverso la Cooperazione internazionale, nessun uomo nel 2015 morirà più di fame”. Oggi si parla di 2030, a volte di 2050, qualcuno dice addirittura 2100. Insomma, era stata fatta una promessa, a voi e anche a noi: ci era stato detto che prima del nostro diciottesimo compleanno avremmo visto il giorno in cui nessun uomo sarebbe morto per fame. Oggi ci viene detto che è possibile che noi non vivremo abbastanza per vedere quel giorno.

 

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