L'editoriale

Contro il superfranco

20 gennaio 2015
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‘Facciamo appello al vostro senso di responsabilità’. È una frase che si sente sempre più invocare, quando le cose iniziano ad andare meno bene. Nel 2013, ad esempio, si fece un gran discutere in parlamento se le nostre scuole dovessero far trascorrere le settimane bianche ai loro studenti in Ticino. Si dibatté a lungo se fosse più opportuno un semplice invito, o se si dovesse giungere a un obbligo. Il motivo era evidente: siccome il Cantone ‘investiva’ (e continua a investire) negli impianti di risalita per aiutarli a rimanere aperti era ‘responsabile’ che le scuole rispondessero presente, spendendo/investendo qui i soldi delle settimane bianche. Lo stesso ragionamento lo abbiamo sentito rifare dagli albergatori la scorsa settimana dopo la bomba sganciata dalla Banca nazionale che ha abbandonato il cambio fisso franco/euro. Siccome la clientela più importante per il settore turistico elvetico è e rimane quella indigena, il direttore di Svizzera Turismo ha subito detto ‘dobbiamo convincerli a rimanere in Svizzera’. E gli esempi potrebbero continuare anche sul fronte del commercio al minuto e all’ingrosso, in particolare per una regione di frontiera come la nostra. Insomma, il ragionamento è sempre lo stesso: se chi qui lavora e guadagna va a fare gli acquisti, le vacanze estive o quelle sugli sci Oltrefrontiera, è chiaro che quei soldi spesi andranno a favore di altre economie. E, alla fin fine, il gatto ticinese si morderà la coda. Ci impoveriremo tutti un pochino, ipotecando anche quelle attività che finora hanno funzionato, perché adagio adagio la torta del mercato nostrano si ridurrà. Un ragionamento che potremmo ribaltare anche sul fronte opposto, quello dei datori di lavoro, che alimentano in taluni settori il fenomeno della sostituzione dei lavoratori indigeni coi frontalieri. Anche qui massa salariale pagata in Ticino, viene prioritariamente spesa (o se preferite investita) in gran parte fuori dai nostri confini. E allora come venirne fuori? Possiamo continuare a invocare ‘il senso di responsabilità’ finché vogliamo, ma difficilmente il trend si invertirà, perché di fatto si cerca di far leva su qualcosa che è e rimane essenzialmente soggettivo: chi ha sulle spalle una fragile economia domestica e deve fare i salti mortali per far quadrare i conti a fine mese, considererà dal suo punto di vista responsabile il fatto di poter ottimizzare il proprio salario, anche facendo di tanto in tanto la spesa Oltreconfine o le vacanze all’estero, se costa meno. Stesso discorso per taluni datori di lavoro: se assumere frontalieri potendoli pagare di meno è la sola soluzione per assicurare dei margini alla ditta e permetterle di stare in piedi è per il proprietario responsabile farlo. E allora? Beh, se confrontati con tanta soggettività e tanta incertezza, se il valore del superfranco continuerà a crescere, subendo gli effetti degli speculatori, l’unica soluzione sta – come indicato lucidamente il giorno dell’abbandono del tasso fisso dal professor Sergio Rossi – nell’adozione di una tassa da far pagare a chi specula sulla nostra divisa. Una tassa sufficientemente elevata e quindi dissuasiva, i cui proventi sono da destinare a determinate condizioni (innovazione, assunzione di residenti ecc.) a certe piccole e medie imprese che faticano a esportare nell’Ue, oltre che a qualche altra costosa misura che i partiti fanno ora a gara a proporre ipotizzando di spremere sempre la stessa mammella. Quella dello Stato. Parole sagge, quelle del prof. Rossi. Speriamo non al vento.

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