Commento

Cento passi dall’altra Chiasso

12 aprile 2017
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I chiassesi d’antan lo conoscono come ‘Terra bella’. O forse sarebbe meglio dire ‘Tera bèla’. La memoria può tradire, ma con tutta probabilità quel palazzone ispirato alle case di ringhiera milanesi, col balcone esterno a mo’ di ballatoio, è stato una delle prime esperienze di edilizia popolare. Almeno nella cittadina di confine. Oggi è uno dei tanti casoni di via Odescalchi. Quello dove è scoppiato il rogo. L’ultimo. Già solo nel dirlo la gente sembra voler allontanare l’idea e quel quartiere da sé, da una quotidianità senza sussulti e problemi. In realtà alcuni abitanti di Chiasso quasi neppure sanno dove si trovi via Odescalchi. Altri, che lo sanno, in genere la evitano. Eppure ci sono un supermercato e la farmacia (oltre alle stazioni di servizio e, va bene, pure un locale a luci rosse). E se da un lato il perimetro corre lungo la ramina, dall’altro, spazio un centinaio di metri, ci si ritrova nel centrale Corso San Gottardo. Quanto basta per faticare a chiamare quel quadrilatero urbano, di fatto ai margini, ‘periferia’; ancor più in una ‘città’ di meno di 10mila abitanti e tutto sommato raccolta, anche se cresciuta lungo i grandi assi di transito: la ferrovia d’un canto, l’autostrada dall’altro. Di fatto, però, c’è una parte di Chiasso che vive al di fuori dei suoi ritmi giornalieri, o comunque di lato. Un agglomerato di disagi e situazioni a rischio su cui, episodio di cronaca dopo episodio di cronaca, è calato lo stigma della ‘terra di nessuno’. La popolazione locale (e non solo) se ne è accorta in questi ultimi tre anni. All’inizio (era il marzo 2014) c’è stato l’incendio di una quindicina di cantine. Poi si è consumato il delitto (era l’ottobre 2015): gli spari e c’è scappato il morto. Con tutta probabilità che sia successo in via Odescalchi è una fatalità – viste le circostanze –, ma poco importa. Da quel momento ad ogni sirena è stata una coazione a ripetere (per lo meno mediaticamente parlando): prima il blitz della polizia del novembre scorso – seguito da un rogo –, quindi la rissa di marzo. Così, nel frattempo, si è interrogata la politica – sullo sfondo storie di spaccio –, mentre il Municipio cercava una via d’uscita. Da lì il tavolo tecnico (che si riunirà entro la fine del mese) e la necessità di stringere un’alleanza, con le forze dell’ordine ma soprattutto la proprietà degli stabili (di recente passata di mano). Già nel 2015, all’indomani dell’omicidio, l’allora sindaco Moreno Colombo aveva ammesso a ‘laRegione’ di temere una via Odescalchi-ghetto. Un pericolo reale oggi? Chi il quartiere lo frequenta per ragioni professionali sa di persone – anche mamme con bambini e anziani – che si sono ritrovate a convivere con vicini ‘al limite’. Una convivenza obbligata e diventata a tratti insostenibile. Ma lì ci sono finiti perché il loro ‘curriculum’ non li aiuta a trovare un alloggio altrove. Per statuto (come i richiedenti l’asilo) o questione di budget non sono inquilini ‘attraenti’. Così permettere ai propri figli di giocare sul pianerottolo o sotto casa serenamente diventa un problema. Anche se per quieto vivere, a volte, è difficile parlarne pubblicamente. Capitato per caso dalle parti di via Odescalchi, un operatore avvezzo ad altre periferie difficili – come Scampia a Napoli o lo Zen a Palermo, per capirci – è rimasto sorpreso. Stupefatto, ci raccontano, di aver scoperto in una realtà urbana tanto piccola una tale concentrazione di casi da statistica; il tutto in un quartiere-via, di fatto, avulso dal resto del tessuto cittadino. Come è stato possibile? Cosa è capitato fra la ‘Terra bella’ d’un tempo e la via Odescalchi di oggi? Dare delle risposte per l’autorità non sarà semplice. Provarci resta un imperativo categorico. Per il bene stesso della cittadina e di (tutti) i suoi abitanti.

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