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Permessi, parla Gobbi: ‘Nulla d’illegale’

Il direttore del Dipartimento Istituzioni giustifica le centinaia di controlli su singoli stranieri e la 'scelta politica' nel definire la prassi

(Ti-Press)
9 settembre 2020
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Le centinaia di appostamenti, gli interrogatori fiume, il controllo della temperatura e del frigorifero di casa, perfino la conta delle mutande nel comò: la lista di verifiche su chi chiede un permesso di soggiorno in Ticino – almeno nei casi emersi da un recente servizio di Falò (Rsi) – comprende anche prassi ritenute umilianti e vessatorie da chi le ha subite. A ciò si aggiungeva, fino a qualche tempo fa, la contestazione di vecchi reati riscontrati sul casellario giudiziale: pratica rifiutata dal Tribunale cantonale amministrativo (Tram) che in materia è arrivato ad accogliere quasi metà dei ricorsi e a bacchettare l'amministrazione. Intanto però il numero di ‘no’ alle richieste di permesso è quasi quintuplicato in sei anni, da 192 nel 2013 a 908 nel 2019, anche se la Sezione della popolazione nota come le pratiche siano a loro volta aumentate (più che raddoppiate dal 2002 nel caso di permessi B).

Quanto emerso dal servizio ha suscitato reazioni forti da molti politici locali: interpellanze e interrogazioni sono arrivate da socialisti, liberali, Mps. Il Ps parla di “metodi più vicini ad uno stato di polizia che allo stato di diritto”, e chiede l’alta vigilanza sul Consiglio di Stato. Il Plr contesta la “cultura del sospetto” e l’“ingerenza politica nei confronti del Servizio dei ricorsi del Consiglio di Stato”. A preoccupare sono infatti anche le dichiarazioni del direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, che dopo il servizio ha parlato di “scelta politica” rigorista condivisa dall’intero Consiglio di Stato. Siamo al primato della politica – e del potere esecutivo – sul diritto? Ne parliamo direttamente con lui.

Gobbi, cominciamo dalle basi: come si verifica il centro d’interessi di una persona?

Muovendosi su vari fronti: a volte sono le stesse persone che richiedono il permesso ad ammettere di vivere molto più di là che di qua dal confine, cosa che permette di distinguere il frontaliere dal dimorante. Poi, a dipendenza della situazione, talvolta si può anche far ricorso alla lettura dei consumi delle economie domestiche.

Ma in casa molti stanno sempre meno. L’avvocato Paolo Bernasconi ritiene che in tempi di elevata mobilità questo tipo di verifiche si basi su “standard da economia alpestre”, obsoleti e inefficaci.

Eppure li utilizza anche la Città di Bellinzona ­– non propriamente a guida leghista – per verificare i domicili comunali. Si vede che anche lì ci sono standard da economia alpestre.

I casi riportati da Falò riferiscono di centinaia di appostamenti e controlli su singole persone, con tanto di rapporti fotografici (che almeno uno dei controllati giudica copiaincollati da un giorno all’altro). In assenza di elementi di oggettiva pericolosità, le basi legali per questo tipo di controlli risultano molto deboli: gli articoli 2 e 6 della Legge federale sulla coercizione di polizia paiono consentirli, ma l’Articolo 9 dice che “le misure non devono comportare interventi o pregiudizi sproporzionati rispetto all’obiettivo perseguito”. Siamo allo Stato guardone?

Intanto si tratta di casi isolati che il servizio della Rsi ha presentato in modo parziale e strumentale. Vorrei ricordare che le decisioni negative costituiscono lo 0,8% sul totale delle decisioni emesse, che nel 2019 sono state oltre 113mila. Poi c’è da dire che è il Tram a richiedere una documentazione molto esaustiva sui controlli, in assenza della quale ci contesta informazioni insufficienti in caso di ricorso. Parliamo comunque solo di casi critici, oggetto di segnalazioni – ad esempio da parte delle guardie di confine – che permettono di ipotizzare la residenza fittizia.

Ci fosse però anche un solo caso nel quale il comportamento della polizia risulta così invadente, non sarebbe già gravissimo? Non dovremmo rivalutare nel dettaglio l’operato della Polizia e della Sezione della popolazione?

Non c’è nessun accanimento, a volte sono le polizie comunali a fare controlli motu proprio senza richiesta dell’Ufficio della Migrazione. Non si tratta poi di appostamenti di ore, ma solo di passaggi per verificare se c’è in giro qualcuno. Certo, qualche errore può succedere, ma mi pare ingiusto parlare di atteggiamento invadente o discriminatorio.

Le mutande, il frigo: servono molte risorse per tutti questi appostamenti?

No, le risorse sono limitate. La gestione di queste situazioni in generale sono inserite in un mansionario molto più ampio di compiti che l’agente è chiamato a svolgere.

Il Partito socialista ha chiesto di attivare l’Alta vigilanza sul Consiglio di Stato, per fare luce su eventuali abusi.

L’importante è riconoscere che di decisioni illegali il Consiglio di Stato e l’Ufficio della migrazione non ne hanno mai prese. Abbiamo svolto tutti gli accertamenti nel pieno rispetto della legge e non abbiamo neanche mai negato un permesso unicamente per reati bagatellari. Abbiamo solo cercato un’interpretazione più rigorosa nella concessione di permessi a chi ha commesso reati gravi.

Tuttavia lo stesso Tram ha accolto per anni quasi metà dei ricorsi e ha espresso “preoccupazione” per “contenziosi che alla resa dei conti si rivelano inutili e facilmente evitabili”, che finiscono per costituire fino a un quarto di tutte le pratiche che deve sbrigare.

I ricorsi accolti non riguardano tanto le decisioni negative concernenti il centro di vita e interesse del ricorrente – su questi casi i criteri adottati dalla Sezione sono stati più volte confermati dal Tram –, quanto piuttosto le questioni di precedenti penali: il Tram ha contestato le ‘negative’ legate a reati – anche gravi e con condanne superiori a un anno – lontani nel tempo. E dopo avere analizzato un numero sufficiente di sentenze, abbiamo adattato la prassi di conseguenza.

Lei ha detto però che l’applicazione della legge come richiesta dal Tram le fa “bollire le busecca” perché troppo permissiva: non è un linguaggio un po’ forte quando si è alla guida del Dipartimento delle Istituzioni? Parliamo di leggi e tribunali.

Ma guardi che le busecca le fa bollire anche a molti stranieri che qui vivono da anni e si comportano onestamente: non penso che tutti gli italiani arrivati qua negli ultimi quaranta o cinquant’anni abbiano precedenti per spaccio, come nel caso di un permesso negato a un imprenditore; e penso che anche a loro dia fastidio la mancata tutela della sicurezza pubblica.

Sì, ma se uno spaccia qualche grammo d’erba a vent’anni, non è detto che a cinquanta sia un pericolo pubblico. E anche il Tribunale federale ha detto chiaramente che il casellario giudiziale – richiesto solo in Ticino – non va contestato per fatti lontani nel tempo.

Però le sanzioni superiori all’anno non riguardano reati così limitati, parliamo di fatti gravi e spesso di recidiva. Se ad esempio si riscontrano ripetuti casi di guida in stato d’ebbrezza, è legittimo preoccuparsi per la pericolosità sociale del soggetto.

Nel suo intervento alla Rsi ha parlato di “chiara scelta politica” e ha spiegato: “Cercavamo un’applicazione molto più rigida nei confronti di una giurisprudenza che in quel momento non condividevamo”. L’esecutivo può subordinare la legge ai capricci della politica?

Non si è subordinata la legge. La si è semplicemente applicata in difesa dell’ordine pubblico e della sicurezza interna, per evitare presenze indesiderate come quelle che in passato hanno messo in cattiva luce proprio l’Ufficio della migrazione per mancanza di strumenti di controllo, e come richiesto da più atti parlamentari. Ora ci troviamo nella situazione kafkiana per cui mi si contesta l’eccesso opposto, chiedendo di tollerare casi che in passato hanno fatto arrabbiare tutti, non solo a destra.

La scelta politica, ha detto alla Rsi, è stata condivisa dal Consiglio di Stato. Però l’esecutivo si pronuncia sui singoli ricorsi: non risultano esplicite prese di posizione di principio.

Quello che intendevo è che nell’ambito della ponderazione dei vari casi, anche in caso di reati gravi pur lontani nel tempo si preferiva un approccio più restrittivo in difesa dell’ordine pubblico.

Il Servizio ricorsi del Consiglio di Stato pare aver sempre avallato le decisioni del suo Dipartimento in ambito di sicurezza pubblica. Ma in nome dell’autonomia dalla politica, non sarebbe meglio avere un Servizio organizzato in tribunale di primo grado indipendente, come in altri cantoni?

È un tema ricorrente anche in materia edilizia, dove però i Comuni hanno chiesto di mantenere una prima istanza amministrativa e non giudiziaria. Il rischio è quello di rallentare il decorso delle pratiche. Quanto all’indipendenza, qui non è stata violata: chiaramente ogni legge può avere diverse interpretazioni, come capita anche in qualsiasi tribunale; sempre naturalmente nel solco della legalità, ben rispettato dai nostri giuristi. Non è corretto inoltre sostenere che il Servizio dei ricorsi non abbia mai cassato decisioni della Sezione.

Quante residenze fittizie accertate ogni anno?

Nel 2019 erano 241, il 26% dei casi di diniego o revoca di un permesso che comportavano la partenza dalla Svizzera del richiedente. Ma questo non significa 241 indagini: a volte come detto basta un colloquio per giungere alle conclusioni.

In passato però è nato il sospetto che non tutti siano uguali: ad esempio alcuni manager della moda che hanno avuto per anni residenze qui, ma sui cui reali centri d’interesse sono sorti molti dubbi. Loro li avete controllati?

Abbiamo avuto diverse discussioni con l’Associazione delle industrie ticinesi e la Camera di commercio su questo tema. È capitato anche di vederci contestati troppi controlli. Di fatto noi trattiamo tutti allo stesso modo, applicando gli stessi parametri in maniera più conforme possibile e a fronte di elementi e segnalazioni oggettive.

Secondo l’avvocato Bernasconi fate ostruzionismo nella speranza che poi, anche se avete torto, la gente non ricorra perché costa tempo e denaro.

L’avvocato Bernasconi si sbaglia. Senza dimenticare che i ricorsi possono essere usati anche al contrario, cioè per allungare i tempi di partenza davanti a crasse situazioni di abuso. A volte siamo anche taumaturgici: dopo anni senza lavoro, alcuni richiedenti lo trovano proprio durante la fase di ricorso, cambiando di fatto la loro situazione e quindi rendendo il ricorso stesso accettabile.

Il Cantone è in calo demografico, anche a causa di un saldo migratorio molto deteriorato. Una politica dei permessi restrittiva non scoraggia ulteriormente chi volesse venire a vivere qui?

Credo che definirla restrittiva con oltre il 99% di richieste accettate sia sbagliato, e che per attrarre professionisti sia importante garantire la sicurezza. In ogni caso non penso che si corregga la curva demografica con l’immigrazione, e non è neanche detto che a livello di popolazione si debba sempre crescere.

Alla Rsi si è schierato esplicitamente contro gli accordi di libera circolazione. Se passasse l’iniziativa dell’Udc, come cambierebbe la gestione dei permessi?

Probabilmente sarebbe possibile fare più controlli ex ante, prima cioè dell’arrivo di stranieri, invece che ex post, come dobbiamo fare ora.

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